VALSUSA: DEVASTAZIONE E SACCHEGGIO

tronco

C’è un bosco in Valsusa, a Chiomonte, che patisce un’aggressione devastatrice: oltre 5.000 alberi già abbattuti, con castagni di oltre 268 anni d’età, piantati prima della Rivoluzione francese.

Bosco di struggente bellezza che costituiva un importante snodo viario frequentato dal neolitico fino all’epoca moderna fra le Valli di Susa e le vallate del Rodano in Francia.

Bosco che veste importanti testimonianze storiche che dalla preistoria,
passando per il medioevo, fino al 18° secolo, raccontano il nostro modo di stare in un territorio e tracciano la strada per il domani.

Qui, nel giugno del 2011, per impiantare il “sito strategico” la necropoli è diventata piazza di manovra di pesanti mezzi militari, che hanno fracassato le casse lapidee delle sepolture neolitiche.
Settemila anni di storia cancellati da cingoli di guerra nella civile Italia.
Il museo adiacente alla necropoli è ora occupato e adibito a caserma.
I reperti più importanti, trasportati in fretta a Torino, hanno perso la naturale contiguità con il territorio circostante e gli altri reperti che ancora insistono inseriti nel bosco.
Noi, i nostri bambini, mai più potremo sentire quelle cose come nostre!
La Maddalena, a Chiomonte, è un luogo dove il paesaggio, il bosco, il patrimonio storico – artistico coesistevano formando un unicum in cui i vari aspetti e beni vivevano in maniera indivisibile e unitaria: una meraviglia!
Distruggere il bosco e sostituirlo con piattaforme di cemento funzionali allo scavo di un tunnel geognostico, finalizzato alla nuova linea ferroviaria Lione-Torino, che renderanno quel monte sterile è un delitto più grave che spiantare da piazza dei Miracoli la torre di Pisa per impiantarla al Polo Nord.
Andiamo a rileggere l’articolo 9 della nostra Costituzione!
Il bosco non esiste solo come bene paesaggistico o fabbrica di legname, è un bene più profondo, è un “bene comune”, come l’acqua, anch’esso indispensabile alla vita, a tutte le vite, ogni processo chimico è debitore al bosco.
Nessuno, neppure lo Stato, può arrogarsi il diritto di distruggere un bosco. Dovere dello Stato è proteggere il bosco, ogni bosco (che differenza tra il bosco della Maddalena e quello di Castelporziano?) e normarne l’uso per tutelare il bene comune.
Quale diverso trattamento dai media tra il Gezi Park di Istambul esaltato e il bosco della Clarea umiliato.
Promettere una ripiantumazione, nella migliore delle ipotesi fra trent’anni, su un terreno cementificato e stravolto nella sua fisiologica struttura di frana non mitiga la sottrazione-furto del bene comune.
Follia lo studio e le promesse di una nuova collocazione museale dal costo di 800.000 Euro che mai sanerà la ferita del cantiere.
A tutti, donne e uomini di buona volontà, sensibili al futuro, il dovere di difendere quel poco di bosco che ci rimane ed opporci, anche fisicamente, alla logica del profitto e della corruzione. Da un’opera che nella sua genesi porta i semi della distruzione del bello non può derivare che corruzione e morte.

27 giugno 2013 Comitati no tav

“Serve una Thatcher per la sinistra”?

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Slavoj Žižek

Serve una Thatcher per la sinistra

Internazionale n. 997, anno 20, 25 aprile/2 maggio 2013 (Articolo originale qui)

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A pochi giorni dal funerale forse maggiormente mediatizzato nella storia dei leader politici dalla fine della secona guerra mondiale – se eccettuiamo poche eccezioni, certo non contraddistinte dagli Osanna di tutti i capi di stato e di partito occidentali – il filosofo Slavoj Žižek scopre la meravigliosa capacità egemonica della Thatcher, oltre ai suoi meriti personali.

Sarebbe fin troppo facile polemizzare con lui sulla base di una simpatia dichiarata per la defunta, oggetto di contestazione anche nel giorno della sua celebrazione ex-post.

E’ perfino imbarazzante dover spiegare brevemente che se la presupposta egemonia thatcheriana è stata certamente evidente nel partito laburista, al contrario è stata profondamente estranea ai bisogni (senza scomodare i desideri) della classe operaia inglese, degli studenti e studentesse del Regno Unito, di tutti-e coloro che grazie alla leadership della Madame hanno scoperto o inventato bellissime scorte di sotto-cultura come il punk.

Uno dei difetti più grandi di certi teorici è ritenere la massa poco più di un rumore di sottofondo, fastidioso a tratti, sul quale si alzano profonde e perentorie le voci dei Soggetti unici della Storia.

Essi sono uomini, adulti, sono stati eletti o meno (un dettaglio), sono sempre espressione della classe dominante, qualunque essa sia. Non fa eccezione la Thatcher (né la Merkel, aggiungo) sostiene Ken Loach, poiché esse sono “maschili” quanto e più dei loro colleghi. Se non basta essere dotate di organi riproduttivi per fare una politica diversa da quella patriarcale, di certo è evidente a tutte, oggi, che men che mai tali organi possono fornire anticorpi utili alle politiche di dominazione e colonizzazione capitaliste.

Non vi è “eccezionalità” se non biologica, ed essa ha un valore e conta solo per le classi subalterne (quelle si, biologizzate e razializzate, come deve essere per chi sta sopra).

Tuttavia, non voglio evitare il tema né la tesi di Žižek e dunque giungo al punto.

Žižek sostiene che le proteste e le proposte – già attuate perché sperimentali, quindi praticate – di gruppi almeno significativi di popolazione europea, americana e africana “rappresentano una sorta di ‘ostacolo epistemologico’ a un vero confronto con l’attuale crisi del nostro sistema politico”. Nella storia, sostiene il filosofo, il Capo rappresenta la divisione (e la sua soluzione positiva) tra vecchio e nuovo, tra chi “vuole tirare avanti all’interno dei vecchi schemi e chi è consapevole della necessità di un cambiamento”.

Ovviamente il Capo è illuminato, e pur provenendo da una delle due fazioni calcistiche – lo supponiamo, dato che il filosofo si dimentica di offrirci numi circa la sua provenienza sociologica e/o politica – farà ciò che è giusto. L’aspettativa messianica in tempi di crisi è comprensibile, soprattutto se viene da un teorico di quella religione laicizzata che è la psicoanalisi, quel che lascia un pochino perplessi è l’evidente mancanza di fantasia che tale prospettiva denuncia. Il conformismo abissale di siffatta speranza potrebbe essere perfino oggetto di sarcastiche considerazioni gramsciane a proposito del “buon senso comune”.

L’autorganizzazione diretta è per Žižek un “mito”, “l’ultima trappola, l’illusione più profonda che deve ancora cadere e quella a cui è più difficile rinunciare”.

Se è vero, come sostiene il Prete laico delle belle Speranze, che in ogni processo rivoluzionario “ci sono momenti estatici di solidarietà di gruppo”, e anche “momenti di intensa partecipazione collettiva”, la Religione dell’ordine conformista ci ricorda a duro monito che tuttavia “queste situazioni non durano”.

E attenzione: non durano non perché represse nel sangue proprio per mano dei sicari dell’ordine conforme della Repressione – i cui Capi soltanto! conoscono e perseguono il nostro bene – ma perché “la stanchezza qui non è un semplice fatto psicologico, è una categoria di ontologia sociale”.

Ve li ricordate, si?, i compagni a Kronstadt quanta noia…come decisero spontaneamente di arrendersi a Trotskj offrendogli le armi e le munizioni…e come i partigiani e le miliziane spagnole, dopo mesi di sofferenza, stenti, fame, malattie e uccisioni in trincea, stufi di tanto ardimento, scelsero di restituire a Franco la Spagna, con mediazione dell’altro Capo illuminato della fazione comunista-conformista Stalin…e ancora oggi, c’è da prevedere un repentino crollo di sonno da parte delle compagnie zapatiste, che da molto (troppo!) resistono persino senza un Capo (e cantino due ave maria per penitenza!!).

Fortuna che c’è Žižek, che sa già cosa è il nostro bene: “la grande maggioranza – me compreso – vuole essere passiva e affidarsi a un apparato statale efficiente che garantisca il funzionamento dell’intero edificio sociale, per potersi dedicare in pace alle sue attività”.

Certo, per il prete Žižek è facile che questo sia vero. Per un lavoratore thatcherizzato un po’ meno, poiché “le sue attività” rischiano fortemente di essere il solo lavoro schiavizzato, una morte causata dall’organizzazione produttiva, il carcere se trasgredisce le regole del Capo. E credo di potermi arrischiare a stilare una lunga lista di biografie non dissimili, se non per età, sesso, etnia, orientamento sessuale, abilità ecc., che partecipano della stessa classe sociale (più o meno, ma ci intendiamo) del lavoratore di cui sopra.

Guarda caso, complotto dei complotti, gli stessi soggetti che autogestiscono l’esistente in questi tempi di crisi…quale presunzione!

E Žižek infatti si affretta a metterci una toppa (che non si dica che ne sa una più del diavolo): “quanto alla moltitudine molecolare autorganizzata contro l’ordine gerarchico sostenuto dal riferimento a un leader carismatico, si noti l’ironia del fatto che il Venezuela – un paese elogiato da molti per i suoi tentativi di sviluppare modalità di democrazia diretta (consigli locali, cooperative, lavoratori alla guida delle fabbriche) – è anche il paese che ha avuto come presidente Hugo Chàvez, un forte leader carismatico”.

Molto ironico davvero…soprattutto l’elogio di Chàvez, proveniente in larga misura dai Capi dei paesi americo-latini capitalistici: un mix di bon ton istituzionale e empowerment di mercato.

Chiedesse Žižek ai lavoratori e alle lavoratrici venezuelane se sono tutti e tutte così tanto contente della via chàveziana. Ma sono solo rumori di sottofondo, e, fossero anche insorti, in procinto di abdicare al potere per ragioni “ontologiche”, pardon, decise dal Signore, che poi è lo stesso che dire “ontologia”.

Non ci dilunghiamo oltre, dato che il prete Žižek chiama in aiuto un altro grande Prelato dell’Ordine da ripristinare, Alain Badiou, a sostegno del fatto che “un soggetto ha bisogno di un Capo per elevarsi al di sopra dell’ ‘animale umano’”.

A Žižek e all’amico di fede Badiou auguriamo di trovarsi, un certo giorno di un certo anno a venire, in una piazza Tahrir di un qualsiasi luogo, attorniati da masse animalizzate e affette da un non meglio precisato “senso di minorità”, ma in preda ad un incontrollato e deleuziano desiderio di farla finita con i Capi/Padri dell’Edipo.

 

Magù

ESSERI SINISTRI

Voglio ricordare che la legalità è un valore di sinistra e che condannare e combattere la violenza e i violenti è di estrema sinistra.(Stefano Esposito, senatore PD. La Stampa, 16 maggio 2013)

Al partito sono preoccupati? Non devono esserlo: nessuno vuole spaccare vetri.

(Andrea Giorgio, segretario regionale toscano Giovani Democratici. Il Tirreno, 11 maggio 2013)

 

evaso

 

Per qualche secolo, l’essere di sinistra coincidendo con il pensiero socialista ha significato un agire politico e sindacale per l’emancipazione della classe lavoratrice, rivendicando nell’immediato uguaglianza economica e giustizia sociale e prefigurando l’abolizione dello sfruttamento capitalista e il superamento dello stato borghese.

L’anarchismo, ponendosi fuori dalla tattica parlamentare, si è storicamente posto all’estrema sinistra del movimento socialista, optando per la rivoluzione sociale e la contemporanea distruzione di ogni potere politico e quindi la negazione di qualsiasi governo o stato, comprese le varianti liberali, democratiche e socialiste, ritenendo necessaria e fattibile l’autogestione generalizzata della società. 

Questo progetto radicalmente alternativo ha di conseguenza segnato la differenza di pratica e etica tra l’anarchismo e le ipotesi riformiste dei partiti socialdemocratici, ma anche verso le opzioni autoritarie dei partiti comunisti volte a instaurare il socialismo di stato.

Tali differenze, anche conflittuali, tra socialismo libertario, legalitario e autoritario restano immutate nella sostanza, alla luce sia della caduta dei regimi “comunisti” che di fronte alla crisi epocale del capitalismo e del suo ordinamento politico, assieme a tutte le illusioni progressiste di modifica umanitaria o di pacifica democratizzazione, tanto che gli eredi di quella che fu la “sinistra riformista” appaiono ormai precipitati dentro una voragine di senso e identità.

Smarriti o rinnegati i riferimenti e i principi alla base del pensiero socialista (e persino quelli ereditati dalla rivoluzione francese: Liberté, Égalité, Fraternité) ritenuti alla stregua di anticaglie, elettori ed iscritti stanno quindi ora scoprendo il nulla che regna dietro i propri dirigenti e, soprattutto, il vuoto di opposizione e alternativa al naufragio di un sistema politico e economico.

Prima l’autodistruzione craxiana del partito socialista, dissoltosi proprio quando stava per festeggiare il centenario della sua fondazione, quindi la progressiva dissoluzione del partito comunista e la sua mutazione in un partito dichiaratamente “non di sinistra”.

Per decenni, tale vuoto è stato dissimulato dall’antiberlusconismo, ma adesso che il “nuovo” governo di larghe intese non lascia margini di speranza ai lavoratori e ai senza reddito, il cadavere della sinistra politica è davanti a tutti: dopo decenni di compromessi, responsabilità, concertazione, sacrifici, moderazione è arretrata – cedimento dopo cedimento – sino a non avere più spazi di manovra e rovinare in una desolante resa totale.

Eppure, neanche in un frangente in cui sarebbe vitale trovare coraggio e energia per ridare forza all’iniziativa e alla voglia di effettivo cambiamento che pure esiste nella società, la principale preoccupazione governativa di una ex-sinistra datasi volontariamente in ostaggio alla destra è che non esplodano in forma conflittuale le contraddizioni sociali, né che venga messo in discussione il dominio del capitale, anche quando è ormai evidente che la logica del profitto sta condannando l’umanità alla miseria, alla distruzione dell’ambiente e allo stato di guerra permanente.

Piuttosto che dare spazio alle lotte, ai movimenti di base e all’autorganizzazione dal basso, si accetta con rassegnazione lo stillicidio di suicidi per mancanza di lavoro, reddito, futuro mentre, alla faccia della retorica della crisi che colpisce tutti, continua a crescere il divario tra chi ha e chi non ha.

La stessa preoccupazione per l’ordine pubblico percorre non casualmente la destra, come attestano le parole del ministro postfascista dell’interno Alfano, ma anche SEL che, per bocca del suo leader Vendola ha più volte condannato ogni “estremismo”, così come quel Movimento 5 Stelle che vuole accreditarsi come unica opposizione e alternativa “gandhiana” alla rivolta. Emblematica la recente dichiarazione di Grillo: «In Europa sono rimasti agli scontri di piazza mentre noi abbiamo fatto entrare la polizia nel movimento» (Corriere della Sera, 19 maggio 2013).

Sarebbero questi quelli che dovevano “destabilizzare il sistema”?

 

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LA FESTA DELL’INSURREZIONE

Partigiane e partigiani della "Settecomuni" nel bosco nero, giugno 1944
Partigiane e partigiani della “Settecomuni” nel bosco nero, giugno 1944

Il ricordo del 25 aprile 1945 ormai, sia per la destra che in certa sinistra democratica, appare come storia morta e sepolta.

Storicamente parlando, il Venticinque Aprile sarebbe più corretto considerarlo e festeggiarlo come l’anniversario dell’insurrezione contro il nazifascismo, piuttosto che come quello di un’imprecisata Liberazione.

Infatti, quel giorno iniziò nel Nord Italia – ancora sotto l’occupazione militare germanica affiancata dai collaborazionisti della Repubblica di Salò – la sollevazione popolare e partigiana, ma in molte zone i combattimenti durarono ancora diversi giorni e furono effettivamente liberate una settimana dopo.

Inoltre, anche dopo la liberazione delle città e delle valli dalle truppe nazifasciste, la prospettiva di una liberazione non soltanto nazionale rimase incompiuta, così come restò aperta la questione politica ed economica con le sue immutate ingiustizie sociali.

Così, a distanza di tanti decenni, il 25 aprile si riduce ad occasione in cui disquisire di morti, dell’una e dell’altra parte, piuttosto che delle convinzioni che armarono i vivi e li videro contrapposti per ragioni etiche e idee di società assolutamente antitetiche.

All’interno di questa danza macabra, come al solito i vecchi nostalgici e i nuovi sostenitori del fascismo si dimostrano imbattibili nel tentativo di far apparire “tutti italiani” coloro che combatterono quella guerra civile, indistinte vittime dell’odio fratricida e delle ideologie.  Ma dietro questa apparente equiparazione, evidenziano però che non solo entrambe le parti si macchiarono di delitti, ma come i “comunisti” e gli “anarchici” si dimostrarono in realtà come i più spietati assassini dei “fratelli” che avevano “solo” il torto di essersi schierati con le truppe di Hitler, in nome di un improbabile senso dell’onore.

Tale frenesia revisionista nel cercare prove della “barbarie rossa” è talvolta così morbosa da indurre in errori tragicomici: nel 2004 nei pressi di Argenta (Fe) una presunta fossa comune di poveri “ragazzi di Salò” massacrati dai partigiani, clamorosamente usata per criminalizzare la Resistenza e la sinistra, si rivelò il cimitero dimenticato di un antico convento; analogamente, è avvenuto a San Giovanni Persiceto (Bo), quando lo scorso settembre è stato risolto il caso di 34 scheletri trovati nel 1962, sotterrati in un campo. Al tempo era stata, faziosamente, accreditata l’ipotesi di un eccidio partigiano contro persone legate al fascismo, e il parroco del paese, monsignor Guido Franzoni, celebrò persino i funerali in forma solenne davanti a una bara vuota. Dopo mezzo secolo, i resti analizzati con il metodo del radiocarbonio hanno rivelato che le ossa risalgono all’Alto Medioevo. D’altra parte, l’intento di certe “denunce” non è mai finalizzato a ricostruire storicamente le vicende di una guerra civile, iniziata nel 1919 con il sorgere del fascismo e durata oltre un ventennio, che nella sua fase finale vide anche episodi di giustizia sommaria e vendetta per violenze impunite, ma soltanto a mettere sotto accusa chi scelse di ribellarsi, facendosi disertore e fuorilegge, alla dittatura e alla guerra di Mussolini e del Terzo Reich.

Una scelta, questa sì controcorrente e di coraggio, mentre la maggioranza obbediva senza credere oppure aspettava la fine del regime senza assumersi alcuna diretta responsabilità per cercare di affrettarne la caduta e mettere fuori gioco gli squadristi, gli aguzzini e i delatori al servizio dello stato fascista.

Per questo il mito dei morti “tutti uguali” non ha senso e mette, colpevolmente, sullo stesso piano i carnefici e gli spettatori dello sterminio dell’umanità – dai bombardamenti all’iprite sulle popolazioni libiche e etiopiche alle leggi razziali, dalle torture ai lager – a fianco di quanti vi si opposero e non esitarono a combattere in prima persona per vivere un presente e un futuro di libertà e dignità umana.

Da qui, l’attualità di difendere la memoria di quella scelta, rifiutando la storia monumentale come quella antiquaria dell’antifascismo, a favore di una storia critica.

Critica, in primo luogo, verso la sottomissione al potere.

Uno come un’altra

GRILLO SOCCORRE LO STATO

I recenti risultati elettorali in Sicilia, oltre a evidenziare l’impressionante astensionismo (oltre il 52%) che in un certo senso rappresenta non solo il primo “partito” ma anche la maggioranza dell’elettorato, ha offerto la possibilità di smascherare l’effettivo ruolo giocato dal Movimento 5 stelle: il partito di Grillo ha, a tutti gli effetti, salvato il sistema dei partiti.

Se, infatti, quel 15% di votanti avesse scelto di esprimere al propria protesta contro la partitocrazia disertando le urne, invece che delegandola al candidato-grillino, l’impatto dello “sciopero del voto” sarebbe stato ancora più dirompente, sfiorando complessivamente il 70%.

Per questo all’indomani della disfatta dei partiti parlamentari e della stampa, l’atteggiamento è apparso trasversalmente alquanto bonario nei confronti di Grillo e soci, archiviando le accuse che nei mesi scorsi erano andate per la maggiore dall’antipolitica al populismo, dal qualunquismo allo squadrismo.

Nel momento in cui la separazione tra società e stato diventa così palese e pesante e “il voto di chi non vota” finisce per assumere una valenza di radicale rottura col sistema politico-economico e, di conseguenza, nei confronti dei partiti della crisi, dell’unità nazionale, del ceto politicante e governativo che questo esprime, anche l’esistenza di un sedicente “antipartito” come quello a 5 stelle diventa prezioso, perché come ha pure sottolineato Ilvo Diamanti (La Repubblica, 30 ottobre) “si tratta, comunque, di un’alternativa al non-voto”.

Anche se può apparire come l’ultima spiaggia per le illusioni di milioni di scontenti, delusi, incazzati, estremisti da bar e rivoluzionari a parole, votare per qualcuno che si candida con un partito “alternativo” a rappresentare, indirizzare ed utilizzare il dissenso popolare per ottenere nei posti di potere, dalle amministrazioni locali al governo nazionale, è pur sempre una dimostrazione di fiducia nella possibilità di riformare e non certo di sovvertire quell’apparato di dominio che si dice di avversare.

Per di più è ben noto come chi entra, criticamente, nelle istituzioni per trasformarle, in breve tempo finisce per essere trasformato, divenendo a sua volta parte integrante dell’apparato che diceva di voler cambiare o mettere sottosopra, tanto da introiettare il punto di vista e le compatibilità di chi comanda, governa, decide sulla testa di quei “sudditi” ai quali non viene mai riconosciuto il diritto né la capacità di autogovernarsi senza farsi Stato.

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Eccidio 7 Luglio Schio: siamo alle solite anzi, peggio…

Come ogni anno a Schio (VI) ha visto un manipolo di nostalgici vestiti di nero (reduci RSI) sfidare il calore estivo per darsi delle motivazioni alla loro triste esistenza.

Il copione e’ stato esattamente quello di ogni anno a questa parte e consiglio di rivedere gli articoli che trovate nell’archivio per approfondimenti sul perche’ e come la pensiamo a proposito.

Quello che mi preme condividere sono alcune riflessioni dopo la mia presenza in piazza.

La sinistra ex-parlamentare (Comunisti italiani, rifondazione etc.) ha mostrato un triste litigio pubblico tra personaggi politici locali per poi riunirsi in una bel ricordo dei fratelli Bogotto, torturati a morte dalle brigate nere.

Da parte fascista la cosa che mi ha innervosito e’ stata la presenza, oltre i soliti 4 reduci, di una ventina di giovani loschi individui che si sono presentati esternamente alle transenne, immediatamente riconosciuti e fermati dai burattini del potere.

Personalmente penso che lasciare nella loro solitudine e tristezza 4 vecchietti ci puo’ anche stare, ma non il permettere che un cosi’ nutrito gruppo di fascisti girino indisturbati per Schio, con buonapace della Digos impegnata a filmare gli antifascisti presenti al ricordo dei compagni trucidati.

 

“colpo su colpo”

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Repressione anti-anarchica

A seguito dello scoppio avvenuto in una caserma dei parà della Folgore è scattata un’operazione repressiva smisurata e sicuramente non improvvisata. Sulla reale paternità dell’attentato “postale” non c’è niente di scontato, se non le tante versioni contraddittorie fornite dagli organi di disinformazione, mentre appaiono più che evidenti i suoi effetti. Infatti, a seguito dell’immediata montatura anti-anarchica sono state compiute decine di perquisizioni e arresti in varie località d’Italia di numerosi compagni/e noti per la loro attività contro ogni oppressione. L’aver soltanto messo piede al circolo Fuoriluogo di Bologna, ad esempio, implica automaticamente la persecuzione giudiziaria. Che dire…nulla da invidiare alle retate promosse dagli apparati di polizia politica nel ventennio fascista contro gli oppositori al regime. Se chi è al potere esige per sè garantismo, diritto alla riservatezza, il rispetto delle procedure legali, quando si tratta di oppositori non si esita a processare persino le intenzioni. L’inconsistenza delle accuse emerge proprio dalle cronache-veline pubblicate sulla stampa miranti ad amplificare la pericolosità sociale delle compagne e dei compagni coinvolti con accuse costruite in modo surreale, tra le quali l’essere in contatto tramite la redazione del foglio di critica anarchica (definito addirittura clandestino, solo in base alle leggi sulla stampa ereditate dal codice fascista) “InVece”, proprio mentre in questi giorni vari noti quotidiani hanno fornito dettagliate istruzioni su come fabbricare buste esplosive “Fai da te”. E’ un gioco sporco e chi ha a cuore la libertà deve saperlo smontare.

Solidarietà a tutt* * compagn* aggrediti dallo Stato.

Durito

Etciù Danke

Guardia nazionale padana, la Lega ci riprova

Dopo il totale fallimento delle “ronde padane” la Lega ci riprova!

Le strette imposizioni imposte alle “ronde” hanno scoraggiato quanti, tra neo-fascisti infiltrati nelle linee della Lega e vecchi “giustizieri della notte” desideravano ardentemente di girare armati a mantenere l’ordine pubblico. Le dichiarazioni della Lega Nord delle ultime ore mostrano chiaramente quanto il liquame nero neo-fascista si sia insediato all’interno delle linee verdastre e come si tenti di legittimare l’armamento e la violenza fascista.

Leggi tutto “Guardia nazionale padana, la Lega ci riprova”

[Bassano del Grappa] Incontro e dibattito su Michele Schirru e Angelo Sbardellotto anarchici condannati a morte dal fascismo.

Venerdì 8 aprile – sala Bellavitis, via B. giovanna – Bassano del Grappa

ore 20:30 – (a)peritivo antifascista con proiezione corti sulla Resistenza
ore 21 – Incontro e dibattito su

Michele Schirru

“Il 28 maggio 1931 Michele Schirru, trentaduenne anarchico sardo,viene condannato a morte dal tribunale speciale del fascismo. Sarà fucilato poco dopo, nell’anno IX dell’era Fascista.
Il suo crimine? Aver pensato di uccidere Benito Mussolini, per porre fine alla dittatura.”

Angelo Sbardellotto

La drammatica vicenda dell’anarchico venticinquenne emigrato bellunese in Belgio, che nel 1932 viene per tre volte in Italia con l’intenzione di attentare la vita a Mussolini. Anche lui aveva pensato di uccidere il duce e venne fucilato per “DELITTO D’INTENZIONE”.

Interverrà l’autore Giuseppe Galzerano (editore) e autore dei libri.

organizza Assemblea dei Malfattori

Michele Schirru http://ita.anarchopedia.org/Michele_Schirru

Angelo Sbardellotto http://ita.anarchopedia.org/Angelo_Sbardellotto

Solidali con il Cpo Gramigna – occupare è giusto

Apprendiamo con estrema amarezza l’ennesimo sgombero del centro popolare Gramigna di Padova, uno spazio appartenuto a molti abitanti del quartiere Torre di Padova. Mercoledì 23 marzo di buon’ora polizia, carabinieri e il personale militare non impiegato nelle guerra in Libia hanno sgomberato e distrutto il prefabbricato dell’ex scuola Davila-Zanella nel quartiere di Torre e murato e posto sotto sequestro l’altro stabile. Per di più sono stati denunciati sei compagni accorsi sul posto.
Il Cpo Gramigna, vale la pena ricordarlo, è sempre stato uno dei pochissimi cosiddetti “centri sociali” che non è mai sceso a logiche bottegaie nè tantomeno a compromessi con il potere della politica cittadina. Questo evidentemente ha sempre dato fastidio, tanto più che i compagni erano riusciti a costruire un ottimo rapporto con la gente del quartiere.
Non vogliamo discutere sulle colpe politiche della giunta del Pd o del Pdl, semplicemente perchè, e i fatti lo dimostrano ampiamente, sono due facce della stessa medaglia che sfruttano le stesse logiche securitarie per avere una poltrona di governo. Il sindaco Zanonato, passando per la potente “Comunione e Liberazione”, non ha nulla di che invidiare ai deliranti leader della Lega e del PDL che quotidianamente vomitano odio e repressione.
Completa e totale solidarietà ai compagni denunciati, al Cpo Gramigna, e agli abitanti del quartiere, privati di uno dei pochissimi spazi di aggregazione in una città che ha ben poco da offrire se non ai soliti speculatori e palazzinari.

Araneici