CENTO ANNI FA: LA PRIMA GUERRA DI LIBIA

Corsi e ricorsi della storia… se nel 1911 la spedizione libica – prima atto della guerra italo-turca con la sua estensione nell’Egeo – coincise con il celebrato 50° anniversario della Unità d’Italia, oggi a ridosso delle commemorazioni tricolori per il 150° lo Stato italiano torna ad essere coinvolto in un’impresa neocoloniale in terra di Libia.
A seguito del Congresso di Berlino che nel 1878 aveva visto la spartizione tra Francia e Gran Bretagna dei territori di Tunisia e Cipro a spese dell’Impero Ottomano, nel 1902 era intervenuto un accordo diplomatico segreto tra Francia e Italia che lasciava quest’ultima libera d’impadronirsi della Cirenaica e della Tripolitania.
Dalla fine del marzo 1911, la stampa italiana aveva quindi intensificato la campagna d’opinione interventista e colonialista. Nella notte tra il 26 e il 27 settembre, il governo italiano presentò un ultimatum di resa al governo ottomano. Tramite l’Austria-Ungheria, il Sultano propose il trasferimento pacifico della Libia sotto amministrazione italiana, senza combattimenti, con il mantenimento della formale sovranità ottomana; ma Giolitti rifiutò e, il 29 settembre, venne dichiarata la guerra; paradossalmente, fu sostenuto che la risposta all’ultimatum era giunta con un ritardo di due ore. Già il 29 settembre 1911 si verificò un primo scontro navale, ma la vera aggressione italiana ebbe inizio il 3 ottobre quando una flotta comandata dall’ammiraglio Faravelli bombardò le vecchie fortificazioni di Tripoli distruggendole, quindi tra il 4 e il 5 ottobre 1911 le truppe italiane sbarcarono rispettivamente a Tobruk e Tripoli. La conquista della “quarta sponda” si dimostrò subito tutt’altro che una passeggiata: la popolazione, al contrario delle previsioni, non accolse gli italiani come liberatori. Nel sobborgo tripolino di Sciara Sciat il 23 ottobre 1911 reparti di fanti e bersaglieri italiani furono annientati in un’imboscata tesa da gruppi di partigiani libici guidati da ufficiali turchi. Nei giorni seguenti, in un’altra zona periferica della capitale, a El-Messri, oltre 700 soldati italiani colti di sorpresa furono uccisi. La repressione italiana fu durissima: la città venne messa a ferro e fuoco e migliaia di libici furono fucilati o impiccati per rappresaglia e circa 4/5000 furono deportati al confino in Italia.
Nel novembre avvenne il primo bombardamento aereo della storia, quando da un monoplano Taube il tenente Gavotti lanciò alcune bombe a mano su un accampamento ottomano a Ain Zara.
Il conflitto durò molto più a lungo di quanto preventivato dal governo italiano, con una spesa di 80 milioni di lire al mese invece dei 30 milioni previsti e la conclusione della guerra vide nient’altro che la formalizzazione della proposta del Sultano, ossia la Turchia conservava la sovranità formale sulla Libia ma demandava all’amministrazione italiana il controllo, anche militare, della fascia costiera tra Zuara e Tobruk (Trattato di Losanna del 1902), anche se le resistenze armate all’occupazione italiana sarebbero durate sino agli anni Trenta quando furono spietatamente stroncate sotto il governatorato di Badoglio e Graziani.
Per il colonialismo italiano l’occupazione e il controllo del territorio si dimostrarono infatti più complicate di quanto ritenuto dai generali, a causa della combattività delle truppe turche prima e delle formazioni guerrigliere libiche dopo. Tra il 1913 e il 1914 la presenza del regio esercito si estese alla Tripolitania settentrionale e il colonnello Miani guidò una colonna di ascari eritrei fino al Fezzan. Ma alcune sconfitte nell’inverno 1914-15 e lo scoppio della Prima guerra mondiale costrinsero gli italiani a ripiegare sulla costa, tenendo saldamente alcune località come Tripoli, Zuara e Homs in Tripolitania, Bengasi, Derna e Tobruk in Cirenaica. I territori interni, invece, vennero, di fatto, governati da alcuni notabili locali in Tripolitania e dalla Senussia (organizzazione religiosa e politica mussulmana) in Cirenaica.
Per debellare la resistenza libica furono impiegati tutti i mezzi militari (aerei, blindati, artiglierie) compreso il ricorso ad armi chimiche letali (quali iprite e fosgene) e a “soluzioni finali” come la deportazione dell’intera popolazione del Gebel e il suo internamento in tredici campi di concentramento.
Prima dell’inizio dell’impresa libica in Italia si manifestarono forti correnti interventiste, con una convergenza di interessi fra la borghesia settentrionale, che vedeva un intervento come l’occasione per allargare i mercati per i prodotti agricoli e, soprattutto, industriali, ed il proletariato agricolo del sud, che vedeva nella Libia, descritta come terra generalmente fertile, un’occasione per ridurre la piaga dell’emigrazione. Altre spinte all’espansionismo erano connesse alla penetrazione del Banco di Roma -legato alle finanze vaticane- avviata in Tripolitania fin dal 1907.
Per rendere popolare l’entrata in guerra fu addirittura scritta e lanciata una canzone (A Tripoli!, anche se più nota come Tripoli bel suol d’amore) e si mobilitò gran parte del mondo culturale e artistico.
La motivazione prevalente era quella attorno alla necessità di dirottare i rilevanti flussi migratori con meta gli Stati Uniti, l’Argentina, la Francia , la Svizzera … verso i nuovi territori da popolare, coltivare, civilizzare e annettere al Regno d’Italia. All’affermazione di questa idea di colonialismo o imperialismo “sociale” contribuirono intellettuali laici e cattolici, sia legati alla destra nazionalista che alla sinistra (soprattutto al socialismo moderato, ma anche qualche esponente “estremista”).
Il poeta Giovanni Pascoli, famoso per elegie ben più miti, scrisse un discorso commemorativo (La grande Proletaria si è mossa) in cui si raffigurava l’Italia come “la grande martire delle nazioni”, rivendicando il “suo diritto di non essere soffocata e bloccata nei suoi mari”, non senza accenti razzisti all’indirizzo di “Berberi, Beduini e Turchi”. La formula di tale propaganda, apparentemente a favore dei migranti italiani, era quella di trasformarli da proletari oppressi in proletari oppressori di popoli ritenuti incivili, nonché di legittimare come opera civilizzatrice il saccheggio delle risorse di un Paese aggredito.
Anche i futuristi si schierarono in gran parte a favore della conquista coloniale; Marinetti, inizialmente contrario, partecipò al conflitto come corrispondente del quotidiano parigino «L’Intransigeant», esaltando la “grande ora futurista d’Italia, mentre agonizza l’immonda genìa dei pacifisti”. Al contrario, il futurista anarchico Gian Pietro Lucini fin dall’anno precedente si era dissociato da tale febbre interventista scrivendo al segretario di Marinetti: “Il Futurismo non è più un’audacia è una bruttissima e sanguinosa realtà tripolina. Non posso oggi fare il macellaio: perciò il Futurismo non mi serve più, assolutamente”.
In ambito politico a favore della guerra, oltre al liberale Giolitti a capo del governo che sfruttò politicamente l’impresa militarista oltremare, si schierò un “partito trasversale” comprendente forze cattoliche, nazionaliste ed anche progressiste. Tra i principali esponenti social-riformisti si distinsero per il loro interventismo Bissolati, Bonomi e Alberto Malatesta, mentre la sinistra del Partito socialista si pronunciò in totale opposizione con Bombacci, Mussolini e Caetani, cosi come l’allora repubblicano Nenni e il liberal-democratico Caetani.

Anche il sindacalismo rivoluzionario vide la divisione interna tra una corrente interventista (Orano, Olivetti, Pannunzio e, in un primo momento, Arturo Labriola) per la quale la guerra rappresentava l’anticipazione di una lotta di classe mondiale tra nazioni proletarie e capitaliste, e quella maggioritaria su posizioni decisamente  anti-interventiste, tanto che il Comitato nazionale dell’Azione Diretta sostenne lo sciopero generale del 27 settembre contro la “guerra di brigantaggio” (definizione di De Ambris) e dove più forte era l’influenza sindacalista rivoluzionaria l’agitazione andò oltre la durata di 24 ore come aveva proclamato la CGL , mentre gruppi di lavoratori attuarono azioni di boicottaggio contro la partenza dei militari.
Alle manifestazioni antimilitariste dettero il loro rilevante contributo anche gli anarchici che, salvo l’eccezione interventista rappresentata da Libero Tancredi (ossia Massimo Rocca), non ebbero dubbi da che parte schierarsi, in sintonia con quanto sostenuto da Errico Malatesta nel numero unico « La Guerra Tripolitana » (aprile 1912): “Oggi che l’Italia va ad invadere un altro paese e sulla piazza del mercato di Tripoli si erge e strangola la forca di Vittorio Emanuele, nobile e santa è la rivolta degli arabi contro il tiranno Italiano. Per l’onore d’Italia, noi speriamo che il popolo italiano rinsavito, sappia imporre al governo il ritiro dall’Africa; e se no, speriamo che gli arabi riescano a scacciarlo”.
All’alba del 30 ottobre 1911 a Bologna, nel cortile della caserma Cialdini affollato da reparti di fanteria, poco prima del discorso di saluto alle compagnie in partenza per la Libia , il tenente colonnello Stroppa veniva ferito da un colpo di fucile sparato da un soldato di leva.
Il responsabile dell’atto di “insubordinazione con vie di fatto verso superiore ufficiale” era Augusto Masetti, muratore di San Giovanni in Persiceto già immigrato in Francia per lavoro, che era stato richiamato in servizio militare il mese precedente e sorteggiato la sera prima per partire alla volta della Tripolitania: ironia della sorte, era stato l’ultimo estratto della 7ª compagnia del 35° reggimento. Secondo le testimonianze, prima di venire bloccato mentre stava ricaricando l’arma, Masetti avrebbe gridato “Viva l’anarchia, abbasso l’esercito!” e, rivolto ai commilitoni, “Fratelli, ribellatevi” (o “Compagni, ribellatevi”), forse sperando in una sedizione solidale. Nei concitati momenti del fermo avrebbe anche sostenuto di aver “voluto vendicare i compagni che cadono in Africa” e di essere un “anarchico rivoluzionario”. L’impegno anarchico di Masetti, sino a quel momento, si era limitato alla diffusione della
stampa antimilitarista e all’attività sindacale nell’ambito della Camera del Lavoro di S. Giovanni in Persiceto; ma il fragore della sua fucilata superò immediatamente le mura di quel cortile, esplodendo nel problematico contesto determinato nella società italiana dall’intervento militare oltremare.
Masetti che, in base al codice militare rischiava la fucilazione, col suo spontaneo ma determinato gesto di rivolta impose quindi a tutte le parti in causa scelte di campo precise e coerenti, sia sul piano etico che quello politico. Per le destre divenne perciò pretesto per inconsulte manifestazioni nazionaliste e monarchiche, nonché belliciste e forcaiole; mentre a sinistra dette modo alle forze contrarie alla guerra coloniale di raccordarsi ed intensificare la mobilitazione antimilitarista, per il ritiro delle truppe italiane dall’Africa e per sottrarre il “soldato ribelle” prima al plotone d’esecuzione e poi alla segregazione nel manicomio criminale di Montelupo. Come scritto da Malatesta “c’è per tutti costoro una battaglia da fare (…) Tutti quanti fanno professione d’una idea di libertà, sorgano a salvare Augusto Masetti. Il proletariato organizzato pensi che Masetti, era uno dei suoi e che per lui si è sacrificato”. Tale
esteso movimento di protesta riuscì solo parzialmente a difendere Masetti, comunque costretto a lunghi anni di detenzione, ma fu alla base della nascita dell’Unione Sindacale Italiana nel 1912 e dell’insorgere della Settimana Rossa nel 1914.

Liberamente tratto da Umanità Nova nn. 10 e 11/2011

Etciù Danke

Allerta nucleare e i soliti speculatori

La tragedia giapponese è sotto gli occhi di tutti: morte e distruzione. Poteva essere una vera e propria ecatombe se non fosse che la maggior parte degli edifici sono costruiti con norme antisismiche. Eppure le misure antisismiche non sono bastate a scongiurare la fuga di materiale radiattivo da una delle più grandi centrali nucleari del paese. Sembra che vi siano stati problemi di raffreddamento al reattore n.1 della centrale di Fukushima e che la pressione esercitata abbia provocato una esplosione. Nei dintorni della centrale è stato liberato del cesio radioattivo contenuto nei vapori che sono usciti dopo l’esplosione. Tre persone sono state scelte a caso tra altre che attendevano i soccorsi nei dintorni e tutte e tre risultano contaminate quindi possiamo ipotizzare che i contaminati siano molti di più. Penso non serva ribadire quali malattie possano essere conseguenza di una esposizione alle radiazioni.

Nonostante tutto l’agenzia per il nucleare giapponese minimizzava la faccenda sostenendo che le radiazioni erano in calo, forse trasportate via dal vento.

ALcuni pennivendoli italiani come Il giornale in calce alle notizie del disastro hanno avuto persino il coraggio di pubblicare interventi dal titolo: “Nucleare? E’ meno pericoloso di una sigaretta!”. Si legge “Effettivamente, se c’è il vento le diluisce, le porta via. E poi la radiazione non è eterna: tanto più è intensa, tanto più rapidamente scompare. Ma questo possono dirlo solo le misurazioni tecniche”. Non si capisce bene dove andrebbero queste radiazioni e soprattutto come queste si diluirebbero. Ricordiamo ai grandi esperti del giornale che le radiazioni possono contaminare un qualunque ecosistema ed entare nella catena alimentare. Sinceramente la metafora con la sigaretta non regge.

Il giorno seguente Legambiente stima l’incidente di Fukushima come il terzo incidente necleare più grave avvenuto nella storia. E non è finita, sembrerebbe che nel reattore n.3 si siano danneggiate le barre di conbustione, con la conseguente emissione di radiazioni, e che vi sia un altro reatore che rischi di esplodere. Nel frattempo una agenzia stampa sostiene che il livello di radiazioni sia sopra i livelli legali. La tv giapponese annunci che per domani sono attese pioggie radioattive.

Tutta questa vicenda ci da se non altro alcuni piccoli insegnamenti:
Che gli esseri umani non sono onnipotenti e che esistono forze che vanno al di là della loro portata, al di là dei nostri calcoli e previsioni. Siamo parte di questo mondo, non siamo al di sopra di esso.
Questa vicenda ci insegna che di sicuro non vi è assolutamente nulla. Nemmeno una centrale nucleare come la retorica di certi giornalisti vorrebbe fare intendere.
Che la scelta di produrre energia nucleare comporti invece sicuri rischi.

Ancora una volta, se bisognasse ribadirlo, contro il nucleare! e contro coloro che lo vogliono!

i potenziali siti in italia individuati dal governo

Patagonia: Mapuche contro Benetton

Benetton – I colori uniti della Vergogna
Il 1 marzo 2001 il tribunale di Esquel (Argentina), chiamato a risolvere il conflitto tra la Comunità mapuche Santa Rosa Leleque e la multinazionale italiana Benetton, ha fissato 10 giorni di tempo per lo sgombero dal terreno occupato dai mapuche 4 anni fa.

Maggiori informazioni sul sito mapuche Avkin Pivke Mapu-Komunikación MapuChe. In teoria, i mapuche potrebbero far ricorso contro questa sentenza, ma 10 giorni son pochi. Culmine seguirà attentamente gli sviluppi di questo ulteriore sgombero firmato Benetton.

Marici weu! Marici weu!

Forza e newen a Rosa e Atilio della Comunidad Santa Rosa Leleque!!!

da http://culmine.noblogs.org/

un araneico

Distrutto il CIE di Gradisca

Apprendiamo con gioia che il Centro di Identificazione ed Espulsione di Gradisca è stato distrutto per mano degli stessi reclusi. Frutto delle politiche di controllo sociale e segregazione dell’U.E. e dei relativi stati nazione i C.I.E. sono non luoghi per non persone. Al loro interno, i migranti “colpevoli” di non avere un pezzo di carta chiamato permesso di soggiorno vengono ammassati a centinaia in piccole celle e sono costretti a condizioni di vita estenuanti. Vi sono infatti testimonianze che spesso venga servito loro cibo avariato condito da psicofarmaci per tenerli buoni e numerosi sono i casi di pestaggi da parte dei secondini e episodi di autolesionismo.
Liberi tutti, fuoco alle gabbie!

Dresda: Gegen nazis!

Circa 20000 antifascisti provenienti da tutta europa si sono ritrovati a Dresda per impedire la marcia dei neonazisti tedeschi sabato 19 Febbraio. Sono stati eseguiti dei blocchi in tutta la città per evitare il concentramento dei neonazisti e ci sono stati violentissimi scontri con le forze dell’ordine. Diversi manifestanti sono stati seriamente feriti e si registrano una cinquantina di arresti. I circa 1500 neonazisti giunti a Dresda non hanno così potuto sfilare per la città.

Foto
http://www.flickr.com/photos/mikaelzellmann/sets/72157625964628849/
Dresden Nazifrei - 19.02.2011 - Dresden
Naziaufmarsch 19.02.2011 Dresden Gegenaktionen-5508
http://www.flickr.com/photos/kompott/sets/72157626088045270/
http://www.flickr.com/photos/realname/sets/72157626088626240/with/5459314242/

[19. Februar] The Battle of Dresden


http://www.flickr.com/photos/52374249@N04/sets/72157625968299139/
http://www.stern.de/panorama/dresden-schwere-krawalle-bei-anti-neonazi-demo-1655757.html
http://www.woschod.de/2011/02/19/dresden-am-19-februar-2011-diese-stadt-bleibt-nazifrei/
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nürnberger straße gegen  10:00
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2011-02-19 10-01-52 Vorsorge der Stadt Dresden zum genehmigten Aufmarsch der Nazis
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http://www.dnn-online.de/dnn-krawalle-am-192/r-detailansicht-galerie-7571-400466.html

Video




http://www.youtube.com/watch?v=aEGOHj0TzFI



http://www.youtube.com/watch?v=FUhQQtRgXRg
http://www.youtube.com/watch?v=-W2MZBU7gVw

+paura = +voti

“Ne arrivano 300mila”, strilla oggi il Giornale. “L’Italia invasa dai musulmani”, risponde prontamente Libero.

E’ unanime il coro di destra che sfrutta politicamente il genocidio\strage che sta succedendo in Libia per i loro fini politici. Il leghista-fascista Bossi l’ha pure detto, in un raro momento di lucidità: “Il rischio immigrazione”, spiega il ministro della Lega, “aiuta Berlusconi e aiuta noi”.

Fomentare la paura è lo sport preferito della destra. E’ sempre più chiaro che il potere della Lega sopravvive solo grazie all’ingiustificata paura del diverso. La strategia della paura su cui campa chiaramente la Lega e so(r)ci è la cosa più infame e terribile che si possa sentire in questi giorni.

Smascheriamo questi razzisti complici della follia dittatoriale di Gheddafi. Basta frontiere!

Consiglio la lettura di Razzismo – I pregiudizi contro gli zingari spiegati al mio cane – Qui un articolo di rivista “A” http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/336/33.htm

Durito

La Rivoluzione per la Dignità e la Libertà! Cronaca dell' insurrezione in Tunisia

17/12/2010 Mouhammad Al-bo’zizi si dà fuoco davanti alla prefettura di Sidi Bousid (prov. del centro sud) come protesta contro il comune che gli ha impedito di lavorare come venditore di frutta e verdura per strada, e anche per il rifiuto di accettare la sua denuncia di aggressione subita da una vigilessa.

18-19-20/12/2010
Manifestazioni a sostegno alla causa di Mouhammad Al-bo’zizi. Scontri tra centinaia di giovani disoccupati e le forze dell’ordine. Decine di arresti e, distruzione di alcune sedi istituzionali sempre a Sidi Bousid.
21-22-23/12/2010
Le proteste si propagano nelle città limitrofe.
24/12/2010
Le proteste si sviluppano sotto forma di una “intifadha”. La polizia spara. Un morto e decine di feriti e arresti.
25-26/12/2010
Manifestazioni a Tunisi capitale di numerosi sindacati e avvocati appoggiando la rivolta degli abitanti del sud, e protestando contro i metodi disumani usati da parte delle forze dell’ordine per opprimere l “intifadha”.
27/12/2010
In quasi tutte le altre province partono delle manifestazioni appoggiando la causa di Muhammad Al-bo’zizi e delle città limitrofe a Sidi Bousid.
28/12/2010
Ben ‘Alì (l’ex dittatore) fa il suo primo discorso alla popolazione inerenti alle rivolte scoppiate in molte città tunisine, affermando che questi “atti vandalici” danno un’immagine negativa della Tunisia all’estero e che sarà applicata la legge su tutti i colpevoli dei reati commessi in questi ultimi giorni. Nessuna pietà quindi.
29/12/2010
Le proteste continuano abbracciando nuove città.
30/12/2010
Ben ‘Alì cambia qualche ministro, (servirà a poco questa mossa inutile). Gheddafi (amico di Ben ‘Alì e l’attuale dittatore della Libia da oltre 40anni!) facilita la burocrazia per i tunisini che desiderano andare a lavorare in Libia (un’altra scelta stupida).
4/01/2011
Mouhammad Al-bo’zizi muore a causa delle ustioni. A Tela le forze dell’ordine perdono il controllo sui manifestanti, bruciata la sede del partito di Ben ‘Alì e una caserma della polizia.
6/01/2011
La polizia arresta alcuni cantanti di musica rap a causa delle loro canzoni contro Ben ‘Alì. Diversi avvocati protestano nei palazzi della giustizia.
8/01/2011
Le proteste continuano. Otto persone uccise.
9/01/2011
Aumentano le proteste nella capitale. Sciopera più del 95% degli avvocati. Per la prima volta dall’inizio della Rivoluzione si vedono manifesti contro il governo. La polizia spara. Circa 35 morti.
10/01/2011
Secondo discorso del dittatore alla nazione in cui cerca di placare le rivolte, promettendo di creare 300mila posti di lavoro nel giro dei prossimi 2 anni. Interruzione degli studi.
11/01/2011
La Rivoluzione abbraccia più città limitrofe della capitale. Repressione di una manifestazione di artisti davanti al teatro di Tunisi. La polizia spara, decine di morti.
12/01/2011
Il dittatore cambia il ministro degli interni. Diachiarato il coprifuoco a tempo illimitato. Entrano in scena i militari a difesa della popolazione.
13/01/2011
Terzo discorso del dittatore in cui afferma di aver capito le esigenze del popolo e lavorerà per realizzarle. Promette inoltre di non candidarsi alle elezioni del 2014. Il ministro degli esteri si dimette.
14/01/2011
La mattina: il dittatore scioglie il parlamento. Promette che ci saranno delle vere elezioni entro i prossimi 6 mesi. Manifestazione davanti al ministero degli interni a Tunisi. In questa occasione diventerà celebre lo slogan usato dai manifestanti contro il dittatore “Dégage!” (parola francese che significa “Fuori!”, “Via!”).
Il pomeriggio: il dittatore scappa.
La sera: Ghannouchi, primo ministro, si nomina presidente momentaneo (decreto anticostituzionale).
15/01/2011
Ghannouchi torna ad essere il primo ministro e Lembazz’a, (presidente dei senatori) si nomina presidente momentaneo come prescrive la costituzione, (tanto, cambia poco, che sia l’uno o l’altro tutti e due lavoravano con il dittatore). Ben Kileni, comandante di un aereo della compagnia tunisina Tunisair, rifiuta di decollare dopo aver saputo che stavano per salire a bordo alcuni parenti del dittatore. L’aeroporto viene circondato da militari e squadre anti-terrorismo, che arrestano i parenti del Rais.
22/01/2011
Da Sidi Bousid parte la carovana della Libertà verso la capitale per cacciare Ghannouchi e il suo governo e per chiedere la formazione di un’assemblea costituente.
23- in poi/01/2011
Le proteste continuano.
Note importanti-interessanti:

1- E’ importante capire bene che Ben ‘Alì aveva formato durante la sua dittatura un corpo armato speciale che non era in lista paga di nessun ministero, quindi erano pagati direttamente dalla sua organizzazione mafiosa, questo corpo viene chiamato “guardia presidenziale”, sotto il commando di El-soriati, sono numerosi forse qualche migliaio. Sono come dei servizi segreti all’interno del corpo della polizia, è per questo è difficile individuarli, si nascondono tra i poliziotti “onesti”, durante il governato di Ben ‘Alì si occupavano di sequestrare, torturare e anche uccidere chiunque andasse contro il regime. Questi mafiosi, soprattutto durante le due notti dopo la fuga di Ben ‘Alì, hanno cercato di seminare il terrore tra la popolazione, partivano usando veicoli insospettabili, tipo ambulanze, e sparavano alle persone a caso (in particolare ai giovani), entravano nelle case e facevano di tutto. Perché?
Vecchia tattica fascista. Creare il caos e insicurezza nelle persone per rientrare in scena come portatore di pace. Ovviamente il popolo non è stato così stupido. Comunque, con l’aiuto della polizia “onesta”, soprattutto dei militari e dei resistenti civili che hanno organizzato dei posti di blocco nella maggior parte delle vie delle città, questa G.P. ha trovato una solida resistenza che presto l’ha convinta ad arrendersi.
2- Rachid ‘Ammar (la “ch” si legge come una “sc” italiana in “sciamano”), generale supremo delle forze armate militari terrestre tunisine, ha rifiutato l’ordine di Ben ‘Ali di scendere in strada contro la popolazione. Questo generale, ha protetto e protegge tutt’ora la popolazione dall’organizzazione mafiosa del dittatore, quindi, un saluto militare in segno di rispetto al generale!
3- Ben ‘Alì e la sua organizzazione ha usato di tutto per soffocare la rivoluzione, ha torturato, ha sparato, ha ucciso, ha usato gas lacrimogeno costruito per delle bestie e non per gli esseri umani, quindi immaginare le conseguenze di una persona che aspira questo gas!
4- Facebook e internet in generale ha contribuito allo scoppio della Rivoluzione veicolando informazioni che in nessun altro modo avrebbero potuto perforare il muro di censura. Mouhammad Al-bo’zizi ha scatenato la Rivoluzione con il suo gesto, dandosi fuoco.
5- I militari fin da subito hanno protetto la popolazione la popolazione.
6- La televisione si deve ancora liberarsi del tutto dal modus operandi del regime, quindi le informazioni e la qualità delle stesse sono influenzate ancora dal pensiero fascista del regime. Permane ancora diffidenza da parte della popolazione nei confronti dei telegiornali.
7- Si può affermare che la rivoluzione tunisina è la prima rivoluzione del mondo arabo (i paesi arabi sono una ventina) ad essere una rivoluzione iniziata e gestita da civili. Da sottolineare che durante le proteste nessun manifestante aveva in mano alcun tipo di arma da fuoco, le uniche armi erano le pietre.
8- I morti sono circa 250.
9- Le manifestazioni continueranno, finché non cadranno tutti gli esponenti del vecchio partito fascista di Ben ‘Alì.
Le conseguenze della R.T. sul mondo arabo:
-Il giorno seguente alla fuga del dittatore, la maggior parte dei governi arabi hanno promesso alloro popolo di abbassare i prezzi dei viveri, migliorare la vita del cittadino di classe media, concedere più libertà di espressione. Dato importante è che si è cominciato a discutere sulla legittimità o meno della presidenza a vita di alcuni “presidenti”.
Gli egiziani hanno cominciato la loro lotta ufficialmente il 25/01/2011 e l’11/02/2001 obbligarono Mubarak (dittatore 1981-2011) a dimettersi. I militari hanno preso in mano i comando della nazione affinché si facciano le elezioni per un nuovo presidente.
Manifestazioni in corso nei seguenti paesi: Giordania, Yemen, Bahrein, Libia, Algeria. Marocco in preparazione…
Si può affermare con molta sicurezza (e i fatti in Libia ne sono una conferma) che il rumore della rivoluzione tunisina ha svegliato i popoli arabi e messo in crisi molti regimi fascisti.

18/02/2011
scritto da Commando Rosso.