PRENDIAMOCI GLI SPAZI!

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Volantino distribuito durante l’occupazione dell’ex albergo Continental sito in viale Venezia, Bassano del Grappa (Vi).

17 dicembre 2011

PRENDIAMOCI GLI SPAZI!

Attraversiamo la città ogni giorno senza viverla, la subiamo come vetrina permanente e luogo di lavoro, imprigionando le nostre vite nella  logica del produci-consuma-crepa. “Perché bisogna far girare l’economia”: e l’economia gira e gira e alla fine crolla!

Banche, negozi, boutique, locali si susseguono in un continuo rimescolamento: come compaiono scompaiono, senza che sia chiaro per chi per cosa per come. Luoghi liberi, luoghi non funzionali a scopi economici non solo non vengono contemplati ma nemmeno accettati. La socialità e il tempo libero hanno senso solo se inglobati nel circuito economico, il passatempo migliore è lo shopping compulsivo. E alla fine cosa ci resta?

Nuove e vecchie colate di cemento ci asfissiano nel corpo e nello spirito.

Occupiamo e ci appropriamo di uno spazio: lo sottraiamo anche solo per una notte ad operazioni di speculazione edilizia e commercio del mattone per creare una zona temporaneamente autonoma e autogestita. Andiamo ai margini, tra le pieghe, in quei vuoti senza un senso per la società e li facciamo nostri. Rivendichiamo la città come luogo di socializzazione, condivisione, sperimentazione, sovvertendo l’idea della città come spazio opprimente, un carcere invisibile a cui siamo incatenati, clienti incantati dalla vetrina permanente.

Quello che vogliamo è riappropriarci del nostro tempo, dello spazio in cui viviamo, delle nostre stesse vite. Riappropriarci della responsabilità individuale verso noi stessi e il mondo che abbiamo delegato ad altri.

OCCUPARE significa restituire uno spazio a chi lo deve e vuole vivere, usare, autogestire.

OCCUPARE significa sospendere il tempo normale che ci stritola e uccide col nostro silenzio assenso.

OCCUPARE per una notte per noi significa sperimentazione e pratica della sovversione, epifania dell’utopia qui ed ora.

Alcune/i fra le /gli occupanti

“ARDITI, NON GENDARMI!” – 25/26 novembre – Bassano del Grappa / Verona

"ARDITI, NON GENDARMI!" - 25/26 novembre - Bassano del Grappa / Verona"ARDITI, NON GENDARMI!" - 25/26 novembre - Bassano del Grappa / Verona

Presentazione libro

Venerdì 25 novembre – ore 21,

Cafè dei Libri, via Vicolo Gamba 5, Bassano del Grappa (Vi)

Sabato 26 novembre – ore 17

Biblioteca Domaschi, c/o CIRCOLO PINK, Via Scrimiari 7, Verona

“ARDITI, NON GENDARMI!
Dalle trincee alle barricate:
arditismo di guerra e arditi del popolo (1917-1922)

sarà presente l’autore MARCO ROSSI

Editrice Biblioteca

Franco Serantini (2011)

“Un solco profondo di sangue macerie
,fumanti divide fascisti e Arditi”

Argo Secondari –
comandante degli Arditi del Popolo

Quarta di copertina.

Gli Arditi del popolo, prima espressione dell’antifascismo in armi, si opposero con ogni mezzo agli squadristi di Mussolini alla vigilia della sua salita al potere, nella guerra civile seguita alla Prima guerra mondiale. Anche se per breve tempo, la loro azione fu al centro delle cronache dell’epoca e tutti gli schieramenti politici dovettero misurarvisi. Ciò nonostante, è stata oggetto di una lunga rimozione: il fatto che ex-combattenti, veterani dei reparti d’assalto, non solo si fossero sottratti alla strumentalizzazione mussoliniana, ma vi si fossero opposti anche con le armi contendendo al fascismo l’eredità “spirituale” dell’arditismo, ha rappresentato un precedente scomodo, difficile da interpretare. Ancora oggi la storiografia stenta a distinguere i ruoli giocati rispettivamente da arditi, futuristi, legionari fiumani e sindacalisti rivoluzionari in una situazione instabile e contraddittoria quale fu quella del Primo dopoguerra. La nuova edizione rivista e ampliata di Arditi, non gendarmi! ripercorre le tracce che dal fango delle trincee, passando attraverso le piazze di Fiume, portarono alle barricate dell’autodifesa proletaria contro l’aggressione fascista.

Organizza per Bassano del Grappa: Collettivo Informa d’azione, i Malfattori

Organizza per Verona: Biblioteca Domaschi

Recensioni:

Alla Tribuna di Treviso

A seguito del diffamatorio articolo di Ferrazza pubblicato sulla tribuna di Treviso pubblichiamo il comunicato dei compagni della F.a.i.

 

Alla Tribuna di Treviso

A Daniele Ferrazza

Abbiamo letto un suo articolo sull’edizione on line della Tribuna di Treviso.

Nell’articolo in questione lei riporta le parole di Maurizio Castro, che, riferendosi alla Federazione Anarchica Italiana, asserisce: «Appare evidente che esiste un progetto insurrezionale legato alla Fai, la Federazione Anarchica Italiana, che vanta una struttura militare di alcune migliaia di persone in Italia: il 15 ottobre a Roma hanno cercato il morto.».

Alle fantasiose iperboli dei politici siamo abituati. Come siamo abituati a vederli trattare in termini di ordine pubblico le questioni sociali. Non ci stupiamo quindi che chi intende colpire ancora una volta le libertà e il reddito dei lavoratori agiti i fantasmi del terrorismo per nascondere un timore ben più reale: quello che i lavoratori si stanchino di pagare la crisi dei padroni, si stanchino di pagare le spese per la guerra, i militari, le grandi opere inutili, la chiesa cattolica, il ceto politico, le imprese.

Castro tuttavia è riuscito a superare tanti suoi colleghi.

Castro afferma che nella FAI ci sono migliaia di persone armate.

Si tratta di un’affermazione tanto surreale da non meritare risposta. Ci tuttavia permettiamo di suggerirgli un uso più accorto delle sostanze allucinogene.

Castro parla di “struttura militare”. Immaginiamo che lei sappia che gli anarchici, non solo quelli della FAI, sono antimilitaristi e che quindi rigettano l’idea stessa di una struttura militare.

Nel mondo che vogliamo non c’è posto per eserciti e soldati. Sappiamo bene che chi sfrutta e chi opprime non è certo disponibile ad abbandonare i propri privilegi, ma sappiamo anche che l’unica rivoluzione che ci interessa è quella popolare, agita dagli sfruttati e dagli oppressi che insorgono contro chi lucra sulle loro vite e decide sul loro futuro.

Alcuni di noi hanno partecipato al corteo del 15 ottobre a Roma, altri hanno fatto iniziative nelle loro città. Chi era a Roma ha visto i blindati della polizia caricare per ore i manifestanti in piazza S. Giovanni, ha visto tanti manifestanti resistere come potevano alla furia omicida di polizia e carabinieri. Siamo convinti anche noi che a Roma qualcuno abbia cercato il morto. Il morto lo voleva chi ha ordinato i caroselli dei blindati in piazza S. Giovanni. Il morto lo voleva il ministro dell’Interno Maroni, nella speranza di distogliere l’attenzione dalle scelte di un governo più che deciso a far pagare la crisi a chi lavora.

Ci auguriamo che il vostro giornale, dopo aver dato spazio ai deliri di Castro, voglia prender nota di questa nostra.

 

 

Commissione di Corrispondenza

della Federazione Anarchica Italiana

cdc@federazioneanarchica.org


A Verona l’amministazione concede spazi pubblici a Forza Nuova

Apprendiamo con disgusto il fatto che l’amministrazione comunale di Verona ha concesso, Sabato 24 e Domenica 25
Settembre, uno spazio ai fascisti di Forza Nuova per fare un corso di “guerriglia urbana”.

Lo spazio in questione è la fattoria didattica “Giarol Grande”, uno spazio comunale situato all’interno
del Parco dell’Adige.

Il posto è gestito dalla cooperativa sociale “8 Marzo” ma l’amministrazione comunale, da sempre
amica dei fascisti, impone lo svolgimento delle attività che ritiene più “opportune”.
E’ successo, quindi, che Forza nuova avesse l’esigenza di organizzare un “campo di formazione”
in cui si insegnavano come tecniche di aggressione verso  tutto quello che è “diverso”.

L’amministrazione, in particolare nella figura di Federico Sboarina (assessore all’ambiente)  ha prontamente concesso loro questo spazio, con assoluto silenzio da parte di tutti i mezzi di disinformazione.

Ripudiamo la “bella faccia” che questa amministrazione ha verso le associazioni e la cittadinanza e
condanniamo il loro costante supporto a chi fa quotidianamente della violenza contro immigrati e compagni.

Alcuni antifascisti

Pacifisti, pacificati e pacificatori: nonviolenza e legalitarismo

Alcune considerazioni sulle pratiche di violenza e nonviolenza adottate nei cortei o imposte da taluni personaggi. L’articolo è stato scritto all’indomani dei fatti di Genova 2001.
Riflessioni da tenere presenti oggi più che mai nelle lotte in Val di Susa e non solo.

Si è parlato e straparlato a lungo, prima, durante e dopo Genova, di violenti e nonviolenza. Innanzitutto la questione viene sempre dibattuta in modo univoco. La non-violenza è agitata, in direzione di chi si solleva di fronte al potere, mai mettendo in questione il potere stesso. La “non-violenza” è proposta sempre come pratica unilaterale; essa deve riguardare solo quelli che si pongono di fronte ai poteri costituiti, mai i poteri stessi. Ma i poteri costituiti, altrimenti detto lo Stato, sono nati attraverso un processo di accumulo dei monopoli: la fiscalità, la moneta e la forza. La macchina statale è per definizione il luogo di massima concentrazione della forza, è l’istituto che si distingue da una banda qualsiasi perché può esercitarla in modo legittimo, ovvero attraverso la regola dell’autolimitazione. Di fronte alla critica nonviolenta, il potere statale è di per sé privo di legittimità perché intimamente violento e perché espressione della violenza dei forti.

Ma per i non-violenti italiani questa lezione non vale. Strano modo di rovesciare il segno di quella che pure è nata come forma radicalissima di lotta. Da momento di delegittimazione etica dei poteri costituiti, dei detentori del monopolio della forza legittima (“coercizione”, indicano con un eufemismo i manuali di diritto), viene fatta diventare strumento di selezione, delegittimazione e criminalizzazione di coloro che si ribellano contro i poteri costituiti. Vittorio Agnoletto, uno dei prendiparola più solerti e sponzorizzati da alcuni poteri mediatici forti, è uno dei maggiori campioni della caccia al diverso, al dissidente, in nome di quella che potremmo definire chiaramente come una forma di non-violenza autoritaria e ultraistituzionalizzata. Si è detto: “se pratichi la violenza, contro beni o contro terzi, mi fai violenza”, ma una volta accettata, la stessa logica vale anche all’inverso “se mi imponi la tua non-violenza, mi fai violenza”. Non credo che se ne esca, salvo un’accettazione reciproca di principio, che riconosca la pari legittimità delle due ipotesi e accetti il confronto, la sfida, sul terreno della competizione e persuasione degli argomenti e dell’azione.

Leggi tutto “Pacifisti, pacificati e pacificatori: nonviolenza e legalitarismo”

Questa è la storia?

Io continuo ad avere la mia macchina, il mio autista, il mio elicottero e la mia villa…tutto uguale e loro non ce l’hanno un lavoro…punto…questa è la storia

(Antonangelo Liori, manager di Agile, parlando dei lavoratori di Eutelia gettati sul lastrico)

 

Pure in quest’ultima spiaggia d’agosto, a sinistra si guarda attoniti la marea che sale. 

I più avvertiti si rendono conto che ci stanno massacrando con una manovra economica ben peggiore di quella greca, ma i mandanti risultano evanescenti.

Per la maggioranza governativa è una crisi mondiale imprevista (?!) causata dalla globalizzazione, per i leghisti c’è la mano della massoneria e della burocrazia (di cui sono parte), secondo il centro-sinistra la colpa è dell’incapace governo Berlusconi, per i giornali qualunquisti dei privilegi della casta politica mentre quelli populisti additano le banche e gli speculatori in Borsa. C’è persino chi sostiene che tutto è determinato dalle tempeste solari.

Dei padroni e del sistema capitalista, invece, non si parla mai: discorsi vecchi, da marxisti o, peggio, da anarchici.

La presidente di Confindustria Marcegaglia è così divenuta l’apprezzata portavoce del “mondo produttivo” e delle “parti sociali” (Cgil compresa!).

D’altra parte, un anno fa, mentre gli economisti non asserviti al capitale, già prospettavano l’attuale crack lopposizione antiberlusconiana era ipnotizzata dallo scandalismo attorno al caso Ruby (vera arma di distrazione di massa) e si perdeva nelle piazze giustizialiste.

Ora tutt’al più ci si indigna per gli stipendi e i privilegi dei parlamentari (davvero una miseria rispetto ai “normali” profitti della classe padronale), oppure con il cinismo dei finanzieri e dei banchieri che strangolerebbero ugualmente i ceti produttivi (vecchia formula interclassista -già usata da Mussolini- per unire sfruttati e sfruttatori).

Smarrita ogni bussola di classe, s’affermano così parole d’ordine e categorie nazi-fasciste come signoraggio e usurocrazia (Ezra Pound docet), mentre a sinistra piuttosto che tornare a ragionare sulla necessità storica della rivoluzione sociale, si preferisce alimentare illusioni paradossali sulla decrescita quando ormai la crescente proletarizzazione e pauperizzazione porta milioni di nuovi miserabili al saccheggio.

Guai poi a parlare di plusvalore, ossia della costante rapina ai danni di chi lavora davvero.

Al massimo gli unici padroni “cattivi” sono quelli che evadono il fisco ai danni delle casse dello Stato; quelli invece che pagano le tasse possono continuare liberamente a sfruttare, licenziare, de localizzare, schiavizzare, vessare, discriminare e irridere operai e operaie.

Siamo liberali, perdinci: mica vorremo mettere in discussione la proprietà privata e la libertà d’impresa!?

Urge critica radicale dell’economia borghese e anticapitalismo attivo, altrimenti ad uscirne vivi ed ancora più forti saranno ancora una volta i soliti padroni.

Magari con un bel governissimo di emergenza nazionale o una nuova maggioranza “di sinistra” che già promette più privatizzazioni, rigore e sacrifici per salvare l’Italia.

E’ evidente che governi, partiti e sindacati sanno solo chiedere sacrifici ai proletari: “lacrime e sangue”, per estorcere nuove risorse, o meglio plusvalore, da buttare nel calderone senza fondo della speculazione. Oppure da sperperare nelle guerre neo-coloniali in Afghanistan e Libia o per finanziare lo stato di polizia necessario ad imporre devastazioni ambientali come la linea TAV o le discariche vero snodo dell’intreccio degli interessi legali e criminali. Per non parlare dei regali a fondo perduto alle casse vaticane.

Un tempo -qualcuno ha osservato- quando un giocatore d’azzardo perdeva, si sparava. E usciva dalla scena.

Il modo di produzione capitalistico ha perso il denaro estorto agli operai; ma non vuole uscire dalla scena, continuando invece a scommettere sulla pelle dei lavoratori dipendenti e dei senza-reddito.

Costringerlo a farlo, ormai, è questione di sopravvivenza: la nostra.

CFG

 

 

Ancora sulle rivolte inglesi – Corrispondenza da Londra

Well I’m running police on my back
I’ve been hiding police on my back
There was a shooting police on my back
And the victim well he wont come back

What have I done?

tratto da: “Police on my back” – The Clash

Corrispondenza di un compagno veneto da Londra

Credo che negli eventi di questi giorni ci sia di tutto un po’. Il giorno in cui la polizia ha ucciso Duggan a Tottenham, quando hanno parlato di uno scontro a fuoco in cui i poliziotti avevano risposto dopo che Duggan aveva sparato contro un poliziotto che si era salvato perché il proiettile aveva colpito la sua radio (tutto ciò sta cadendo…), la prima cosa che si sono premurati di fare è stato un appello alla calma generale. E’ la prima volta che mi capitava di sentire una cosa così, evidentemente gli apparati polizieschi erano consapevoli di essere in una situazione ‘pericolosa’. Un testimone aveva fin da subito detto che la polizia aveva sparato e ucciso a sangue freddo. Il ragazzo ucciso, aveva dei precedenti ed era armato, era però molto conosciuto nel quartiere. Il giorno dopo la morte di Duggan, c’è stata una dimostrazione di fronte alla stazione della polizia che per ore si è rifiutata di parlare ai famigliari della vittima. Pare che gli incidenti abbiano avuto inizio quando un poliziotto ha spinto o picchiato una ragazzina. Ad una prima lettura, i primi scontri erano una vera e propria rivolta contro la polizia, una reazione alle ingiustizie sbirresche. Questo è stato sicuramente l’elemento scatenante.

Leggi tutto “Ancora sulle rivolte inglesi – Corrispondenza da Londra”

Riot, rivolte e affini – Qualche considerazione sui fuochi Inglesi

 

La vittoria sarà di coloro che avranno saputo creare del disordine senza amarlo.

(G. Debord)

 

 

Svariate analogie o differenze si possono trovare guardando ad altre insorgenze (Brixton 1981, Los Angeles 1992, Parigi 2005), comunque nessuna analisi – politica, economica, sociologica – appare di per sé sufficiente a spiegare questa ennesima radicale rottura.

In un riot c’è sempre di tutto: disperazione e spasso, ribellione sociale e insofferenza esistenziale, rivendicazione di diritti negati e nichilismo,  protesta politica e illegalità comune, dinamiche di liberazione ed episodi di sopraffazione…

Se si eccettua l’incendio della Sony e il saccheggio di qualche negozio di lusso, per lo più le devastazioni riguardano gli stessi quartieri popolari dove abitano i protagonisti, al punto da far pensare più ad un’implosione piuttosto che ad un’esplosione. Si brucia l’auto del vicino di casa o si depreda il negozietto miserabile dietro l’angolo, mentre la City o Downing Street sono intoccate.

Come per le banlieue, la polizia s’impegna solo a ghettizzare le fiamme della rivolta, aspettando che si consumino dentro i suoi confini, lontano dai centri del potere.

Difficile per gli apparati di disinformazione ridurre il tutto a conflitto razziale, quando più colori e lineamenti si intravedono così chiaramente sotto fazzoletti e cappucci; ma problematico anche individuare un’unica appartenenza di classe e anche trovarvi una precisa logica antagonista: “Non c’è stato alcun ovvio bersaglio politico o istituzionale: niente multinazionali, niente banche, non il governo, nemmeno la polizia”  (Bill Emmott, La Stampa 10 agosto).

La crisi economica, la miseria, la disoccupazione, il taglio selvaggio del welfare, il crollo del mito della Big Society… certo, ma non solo. “Ci sono persone che non si sentono parte delle comunità in cui vivono. Vedono i negozi, le librerie e gli uffici come qualcosa che non gli appartiene, come un qualcosa di alieno. Sono tecnologicamente super-integrati ma emarginati dal punto di vista sociale. Una volta che si ha un evento-detonatore le cose precipitano, si muovono molto velocemente. Come uno stormo d’uccelli. Ogni individuo segue il comportamento del suo vicino di destra o di sinistra. Quello che stiamo vedendo per le strade di Londra non è un comportamento di gruppo che segue logiche tradizionali ma un atteggiamento che definirei elettronico, virtuale. Ecco perché gli stessi incidenti si replicano in modo identico in diverse parti della capitale e in altre città del Paese” (Rodney Barker, prof. della London School of Economics, intervista dell’Ansa).

D’altronde il tasso di disoccupazione britannica non è neppure dei peggiori: 7,7 % (rispetto all’8% in Italia, al 9,5% in Francia, al 9,2% negli Usa).

I benpensanti, senza volerlo, dicono la verità: “E’ tutto senza senso”. In Inghilterra e non solo, infatti, alla proletarizzazione e alla pauperizzazione crescenti si somma anche la perdita di senso non solo nella società del capitale ma persino nell’opposizione ad essa.

Sempre meglio i riot della pace sociale, viene spontaneo affermare; ma è necessario anche chiedersi se i disordini che si stanno sviluppando ovunque non stiano svolgendo la funzione di valvola di sicurezza proprio della pace sociale. Così come un tempo, ben vengano gli assalti ai forni se servono a scongiurare quelli ai palazzi: la grande borghesia non ha certo scrupoli morali a sacrificare la proprietà privata spicciola, dando i piccoli borghesi in pasto ai miserabili.

E chissà che risate si fanno i padroni di tutto, vedendo magari un ragazzo rischiare la galera per rubare un cellulare attraverso una vetrina infranta: domani sarà comunque un loro cliente. Per di più, sotto controllo.

 

Etciù Danke

 

Alcuni approfondimenti: Solidarity Federation – British Section of the International Workers Association