Camus quasi inedito – MI RIBELLO, DUNQUE SIAMO di A. Camus

 

 

Che cos’è un uomo in rivolta? È innanzitutto un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia: è anche un uomo che dice sì. Osserviamo nel dettaglio il movimento di rivolta. Un funzionario che ha ricevuto ordini per tutta la vita giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando. Insorge e dice no. Che cosa significa questo no? Significa, per esempio: «Le cose hanno durato abbastanza», «esistono limiti che non possono essere superati», «fin qui, sì, al di là, no», o ancora: «andate troppo in là». Insomma, questo no afferma l’esistenza di una frontiera. Sotto un’altra forma ancora la stessa idea si ritrova nella sensazione dell’uomo in rivolta che l’altro ‘esageri’, «che non ci siano ragioni per», alla fine «ch’egli oltrepassi il suo diritto», fondando, per concludere, la frontiera il diritto. Non esiste rivolta senza la sensazione di avere in se stessi in qualche modo e da qualche parte ragione. È per questo che il funzionario in rivolta dice ad un tempo sì e no. Perché afferma, assieme alla frontiera, tutto ciò che custodisce e preserva al di qua della frontiera. Afferma che in lui c’è qualcosa di cui vale la pena prendersi cura. Insieme alla repulsione verso l’intruso, esiste in ogni rivolta un’adesione intera e istantanea dell’uomo a una certa parte dell’esperienza umana. Ma qual è questa parte? Si potrebbe affermare che il no del funzionario in rivolta rappresenta soltanto gli atti che rifiuta di compiere. Ma si noterà che questo no significa tanto «esistono cose che io non posso fare» quanto «esistono cose che voi non potete fare». Si vede già che l’affermazione della rivolta si estende a qualche cosa che trascende l’individuo, che lo trae dalla sua supposta solitudine, e che fonda un valore. Ci si limiterà, al momento, a identificare questo valore con ciò che, nell’uomo, rimane irriducibile. Precisiamo almeno che si tratta proprio di un valore. Per quanto confusamente, esiste una presa di coscienza consecutiva al moto di rivolta. Questa presa di coscienza consiste nella percezione improvvisa di un valore con cui l’uomo può identificarsi totalmente. Perché, fin qui, quest’identificazione non era realmente sentita. Tutti gli ordini e le esazioni anteriori al moto di rivolta, il funzionario li subiva. Spesso, anzi, aveva ricevuto senza reagire ordini più rivoltanti di quello che fa scattare il suo moto. Ma portava pazienza, incerto ancora del proprio diritto. Con la perdita della pazienza, con l’impazienza, comincia un movimento che può estendersi a tutto ciò che in precedenza veniva accettato. Questo movimento è quasi sempre retroattivo. Il funzionario, nell’istante in cui non riconosce la riflessione umiliante del suo superiore, rifiuta insieme lo stato di funzionario per intero. Il moto di rivolta lo porta più in là di quanto egli non vada con un semplice rifiuto. Prende le distanze dal proprio passato, trascende la propria storia. Precedentemente invischiato in un compromesso, si getta d’un tratto nel Tutto o Niente; ciò che dapprima era la parte irriducibile dell’uomo diventa l’uomo intero. Nel moto della propria rivolta, l’uomo prende coscienza di un valore in cui crede di potersi riassumere. Ma come si vede, prende coscienza, contemporaneamente, di un ‘tutto’ ancora piuttosto oscuro e di un ‘niente’ che significa esattamente la possibilità di sacrificio dell’uomo a questo tutto. L’uomo in rivolta vuole essere tutto- vale a dire questo valore di cui ad un tratto ha preso coscienza e che vuole venga riconosciuto e accettato nella sua persona – o niente, vale a dire essere decaduto ad opera della forza che lo domina. Al limite, accetterà di morire. Mette sulla bilancia la morte e quanto chiamerà, per esempio, la sua libertà. Dunque, si tratta davvero di un valore, e uno studio dettagliato della nozione di rivolta dovrebbe ricavare, da questa semplice osservazione, l’idea che la rivolta, contrariamente all’opinione corrente, e benché nasca da ciò che l’uomo ha di più strettamente individuale, mette in questione il concetto stesso di individuo. Perché se l’individuo, in casi estremi, accetta di morire e nel moto della propria rivolta muore, dimostra con ciò ch’egli si sacrifica a favore di una verità che oltrepassa il suo destino individuale, che va più in là della sua personale esistenza. Se preferisce l’eventualità della morte alla negazione di questa parte dell’uomo che egli protegge, è perché valuta quest’ultima più generale di se stesso. La parte che l’uomo in rivolta protegge, egli ha la sensazione di averla in comune con tutti gli uomini. È da ciò che essa trae all’improvviso la sua trascendenza. È per tutte le esistenze a un tempo che insorge il funzionario quando giudica che, da un dato ordine, viene negata qualche cosa in lui che non gli appartiene in modo esclusivo, ma che è un luogo comune in cui tutti gli uomini, anche colui che l’insulta e l’opprime, hanno già pronta una forma di solidarietà. Esiste una complicità che unisce la vittima al carnefice. La rivolta non nasce solamente e necessariamente nell’oppresso, ma può nascere anche dallo spettacolo dell’oppressione. Esiste in questo caso un’identificazione con l’altro individuo. Non si tratta di un’identificazione psicologica, sotterfugio per mezzo del quale l’individuo sentirebbe nella sua immaginazione che è a lui che s’indirizza l’offesa (perché, al contrario, si arriva a non sopportare di veder infliggere ad altri delle offese che noi stessi abbiamo subito senza rivolta). Esiste solamente un’identificazione di destini e un prender partito. L’individuo, dunque, non è in se stesso quel valore che vuole difendere. Occorrono tutti gli uomini per costituirlo. È nella rivolta che l’uomo si supera nell’altro, e, da questo punto di vista, la solidarietà umana è metafisica. Nell’esperienza assurda, la tragedia è individuale. A partire dal movimento di rivolta, essa ha coscienza d’esser collettiva.

Bergamo non da spazio a Casapound

Rigiriamo l’appello che arriva da Bergamo:

L’associazione fascista Casapound tenterà di scendere in piazza la sera del 10 febbraio a Bergamo, con un presidio al Piazzale degli Alpini.
Tenterà perchè l’ultima volta che i fascisti hanno provato a tirare fuori il muso nella stessa piazza l’anno scorso, volantini e gazebo sono finiti nella adiacente fontana.

Scottati da quell’episodio i fascisti del terzo millennio orobici chiedono aiuto ai camerati di tutta la Lombardia, per tentare di guadagnarsi l’agibilità politica che a Bergamo gli è giustamente negata. Giustamente non perchè lo diciamo noi, ma perchè la Storia ha già emesso il giudizio su ciò che il fascismo ha rappresentato per questo paese e per la sua gente. Un giudizio inappellabile di condanna che chiunque si dichiari fascista si porta appresso.

Peccato per loro che non possano chiamare un camerata di Pistoia, un certo Casseri, che gli avrebbe di sicuro dato una mano.

Perchè per chi ancora non lo sapesse, Casapound è l’associazione di cui faceva parte l’assassino di Firenze che – coerente con le sue idee xenofobe e superomiste – ha compiuto una strage di senegalesi, uccidendoli solo perchè persone di colore.

E non potranno nemmeno chiamare il dirigente di Casapound Andrea Palladino, in arte “Zippo”, in carcere a Roma per aver preso a sprangete alcuni militanti del PD; attività cui Zippo era uso praticare anche nei confronti di giovani studenti come nell’aggressione che Blocco Studentesco, l’organizzazione giovanile di Casapound, ha compiuto ai danni degli studenti medi durante le proteste contro la riforma Gelmini in Piazza Navona a Roma e in altre occasioni nelle università romane.

Mentre altri contatti è meglio per loro che non li sentano proprio, come il vicepresidente di Casapound Andrea Antonini, che è stato gambizzato con una sparachiodi; e siccome l’abitudine dei fascisti di risolvere divergenze politiche a suon di pistolettate nelle gambe sta tornando di moda – come la gambizzazione dell’ex NAR Francesco Bianco, a seguito della quale è stata perquisita la sede di Casapound e l’abitazione del presidente di Casapound Gianluca Iannone – si sa mai che un battibecco in Piazzale degli Alpini possa finire a revolverate.

Nessuna agibilità politica ai fascisti, nessuno spazio agli assassini di Casapound!

Per fermarli ritrovo ore 19.30 piazzale della stazione FF.SS. di Bergamo

 

BERGAMO È ANTIFASCISTA!

Circolo anarchico fiorentino sotto sgombero

 

Apprendiamo da Indymedia che e’ in corso in queste ore lo sgombero dei compagni fiorentini (https://circoloanarchicofiorentino.noblogs.org/)

Nell’impossibilita’ di un supporto concreto esprimiamo solidarieta’  a chi resiste alla repressione dell’idea libertaria.

Individualita’ anarchiche/libertarie venete

SINISTRA CRITICA: COMPAGNI DI MERENDE STALINISTE?

 
Il fatto più importante è che ogni poliziotto sa che, se i governi cambiano, la polizia resta. (L. Trotskij)
Stalinisti del KKE/PAME schierati a difesa del Parlamento Greco.
Sull’ultimo numero di ERRE, la rivista di Sinistra Critica, è stato pubblicato un articolo a firma di Stathis Kouvelakis (docente universitario di filosofia a Londra) riguardante la situazione greca in cui si può leggere una discutibile ricostruzione dei noti fatti in piazza Syntagma ad Atene il 20 ottobre scorso quando il servizio d’ordine stalinista offrì uno spettacolo non propriamente edificante. Pur criticando la politica settaria del KKE, l’autore ha tenuto a precisare che “questo non può in ogni caso giustificare l’attacco militarizzato con strumenti criminali (molotov lanciate contro il servizio d’ordine e i cortei del Pame) di cui è stato fatto oggetto da parte dell’area black bloc che ha portato alla morte di un operaio edile militante del Pame e al ricovero di una quarantina di manifestanti”.
Tale ricostruzione (peraltro già fatta propria in Italia da vari settori legalitari e autoritari, tra i quali la confederazione Cobas) appare in tutta la sua mistificante logica.
L’aggressione del servizio d’ordine del KKE e del Pame (il corrispettivo della Cgil) a un settore di corteo che durante lo sciopero generale era intenzionato a raggiungere il palazzo del Parlamento, non poteva peraltro avere come obiettivo il fantomatico Black Bloc (dato che in Grecia proprio non esiste) ma piuttosto attivisti del sindacalismo di base, di comitati autonomi e del movimento anarchico.
Tale “carica” avvenne, con connotazione squadristica, con la compiacenza delle forze di polizia antisommossa, posta a difesa del palazzo del potere.
A quel punto, alle spranghe staliniste, gli aggrediti risposero come potevano, lanciando anche -in funzione difensiva- alcune molotov destinate a ben altri obiettivi.
La vittima registrata tra gli aggressori è stata notoriamente causata da un malore cardiaco, per cui la responsabilità ricade piuttosto sulla sua scelta di prendere parte ad una simile azione e sulle direttive dei suoi dirigenti.
Stupefacente che dei post-trotzkisti come gli aderenti di Sinistra Critica abbiano fatto propria tale faziosa versione dei fatti, preferendo di stare dalla parte della sbirraglia stalinista piuttosto che da quella della rivolta sociale.
Ennesimo tatticismo o vocazione masochista?

Alcuni anarco-comunisti

Messico: La polizia uccide due studenti nello sgombrare un blocco autostradale

Riceviamo e pubblichiamo la traduzione di un articolo de: La Jornada ,quotidiano messicano.

 

Jorge Alexis Herrera e Gabriel Echeverria de Jesus , due studenti messicani della scuola Normale Raul Isdro Burgos di Ayotzinapa, sono stati uccisi durante gli scontri avvenuti il 12 dicembre scorso lungo l’autostrada del Sol a Chilpancigo, capitale dello stato di Guerrero. Un gruppo di circa 500 studenti si era mobilitato per bloccare un tratto di autostrada come protesta contro le politiche del governo.

 

Verso le ore 11.45 di lunedi’ 13 dicembre 2011, circa 500 studenti della scuola normale arrivarono all’autostrada con i loro camioncini, appoggiati da 26 indigeni facenti parte dell’ Organizaccion Campesina del Municipio de Tecoanapa e atri 20 (sempre indigeni) appartenenti all’organizzazione Xanii Tsavvi. Assieme riuscirono a chiudere le corsie dell’autostrada e ad interrompere la viabilità per qualche ora.

 

La loro principale richiesta era quella di poter avere un’udienza con il governatore Angel Rivero affinchè  le lezioni potessero ricominciare . Queste ultime erano state sospese lo scorso 2 novembre e da quel momento mai più riprese per il fatto che gli insegnanti pretendevano imporre come direttore Eugenio Hernandez Garcia che gli studenti stessi segnalavano come un probabile repressore.

Come seconda istanza gli studenti chiedevano che venisse aumentato il numero di posti disponibili per l’accesso alla Scuola Normale ovvero che passasse da 140 a 170 per l’anno 2011-2012.

 

Non appena comincò il blocco autostradale, ecco che arrivarono subito al meno 300 poliziotti guidati dal generale Arreola Ibarria, sottosegretario alla Sicurezza ; piu’ tardi arrivarono anche agenti ministeriali.

 

Coloro che erano al lavoro nelle vicine stazioni di servizio autostradale (benzinai ) raccontarono che qualche minuto prima di mezzogiorno i poliziotti iniziarono a sgomberare gli studenti i quali risposero con il lancio di pietre, bombe carta e molotov.

 

Qualche istante piu’ tardi, uno degli studenti si reco’ alla stazione di benzina piu’ vicina e appicco’ fuoco ad una bomba carta. Fu da quel momento che i poliziotti iniziarono a sparare colpi di pisola in aria.

A circa 50 metri di distanza, nel ponte del fiume Huacapa, erano appostati una decina di altri poliziotti.

Alcuni di loro erano in borghese affinché potessero confondersi con gli studenti e tutti pronti ad azionare le loro armi.

 

 

ATTACHI DA ENTRAMBI I LATI

 

Gli studenti improvvisamente si trovarono circondati da entrambi i lati, i poliziotti arrivavano sia da nord che da sud ovvero da entrambi i lati dell’autostrada .

 

Un gruppo di studenti tento’ di salvarsi rifugiandosi all’interno dei furgoni mentre altri invece cercarono di contrastare la polizia lanciando pietre…ma non ci riuscirono!

 

Nel frattempo gli automobilisti bloccati tentarono di fuggire per proteggersi dalle sparatorie .

 

Alle 12.10 circa la sparatoria aumentava sempre piu’ e fu quello il momento in cui venne ammazzato il primo studente , Gabriel Echeverria de Jesus.

 

Quasi nello stesso momento cadde a terra morto anche il secondo studente, Jorge Alexis Herrera. I loro compagni, pensando che fossero soltanto stati feriti, tentarono di portarli all’interno dei camioncini per proteggerli ma nel momento in cui si resero conto che erano già morti , li lasciarono a terra.

 

La sparatoria durò altri 20 minuti in cui la polizia non smetteva di sparare colpi in aria, di andare su e giu per entrambi i lati dell’autostrada con le pistole tra le mani.

 

Alcuni ragazzi riuscirono a fuggire verso le colline circostanti all’autostrada e da li tornarono verso la Normale. Altri invece cercarono di allontanarsi il piu’ possibile  dal luogo dello sgombero.

 

A terra rimasero pietre, bastoni, molotov ,dozzine di pistole e armi varie utilizzate dai poliziotti.

 

All’incirca verso le 12.30 le sparatorie cessarono.

Qualche minuto più tardi arrivarono tre camionette dell’esercito e gli studenti che erano rimasti feriti a terra, vennero arrestati e fatti salire sulle loro camionette.

 

Piu tardi arrivo’ anche il Presidente della Commissione di Difesa dei Diritti Umani del Messico e dozzine di dirigenti sociali e di organizzazioni non governative. Inoltre arrivarono anche i genitori degli studenti.

 

Finalmente alle 14,30 riprese la circolazione dei veicoli su autostrada ma la persecuzione e gli arresti degli studenti non cessarono. I poliziotti continuarono a cercarli ovunque fino alle ore 16,00 circa.

 

Il generale Arreola venne intervistato subito dopo lo sgombero. Coperto di macchie di sangue in tutta la faccia commentò: ‘ Dovevamo sgombrare questa gente ma loro ci accolsero a colpi di pietre e con fuoco cosicché dovevamo difenderci in qualche modo’.

 

-Ma Signore …guardi…lì ci sono due giovani morti sulla strada – obbiettò il giornalista.

-Non lo sapevo, non so chi sparò, noi non portiamo armi –rispose il generale.

-E’ stato un ordine del governatore Angel Aguierre lo sgombero?

-Gli ordini del governatore erano quelli di mantenere la pace qui a Guerrero. Il personale della polizia l’unica cosa che porta con se è un’equipe di difesa ed è sempre disarmato completamente.

-Ma come si fa a ristabilire la pace con due studenti morti sulla strada?

-Ristabilire l’ordine e la pace significa sgomberare 800 studenti incappucciati che stavano bloccando il traffico. Noi dovevamo fare ordine!

 

Il giorno seguente venne indetta una manifestazione contro il governo messicano genocida e ammazza studenti.

 

La Federazione di Studenti Campesinos Socialistas del Messico condanna l’ assasinio di due studenti della Normale ‘ Isidro Burgos’ de Ayotzinapa a Guerrero che furono aggrediti il giorno 12 dicembre 2011 alle 12 durante una manifestazione iniziata con intenti pacifici e che esigeva un semplice colloquio con il governatore Aguierre Riviero.

 

Inoltre, oltre all’uccisione di questi due ragazzi, ci sono approssimativamente 5 feriti e 22 deportati e torturati. Questi ultimi non verranno rilasciati finchè non sveleranno il nome degli altri compagni coinvolti. E per concludere, un numero indefinito di scomparsi ormai già entrati nella lista dei DESAPARECIDOS!

Gli studenti denunciano le aggressioni e soprattutto le torture a cui sono sottoposti attualmente i loro compagni. Fanno un appello a tutto il mondo affinchè venga sparsa la notizia di centinaia di ragazzi scomparsi!

 

 

Le fotografie e i video pubblicati nelle le varie reti di comunicazione mostrano l’accanimento dell’aggressione avvenuta .Le immagini palesano chiaramente che a sparare furono le forze dell’ordine e che gli studenti ,assieme alle varie organizzazioni che appoggiavano la loro manifestazione, non portavano altre armi se non le loro idee e le loro richieste.

 

 

GLI STUDENTI CHIEDONO:

Una giusta punizione per gli assassini dei compagni uccisi

Libertà per i detenuti e una presentazione della lista dei desaparecidos

Rispetto per l’associazione studentesca e no alla chiusura della scuola

 

Gli studenti inoltre ripudiano il governo messicano genocida

Diciembre 2011

¡POR LA LIBERACIÓN DE LA JUVENTUD Y CLASE EXPLOTADA!

¡VENCEREMOS!

Federación de Estudiantes Campesinos Socialistas de México

 

 

 

16 dicembre 2011

Ulteriori notizie giungono dal Messico e sostengono che mercoledì mattina alcuni agenti della polizia raggiunsero la clinica del Isste dove erano ricoverati alcuni ragazzi.

Gli agenti volevano che i ragazzi confessassero di essere colpevoli di aver utilizzato armi durante la giornata di lunedì. Per farli parlare staccarono i macchinari a cui erano attaccati. Uno di loro , a causa della sospensione della cura, venne danneggiato e perse un rene. Le famiglie dei ragazzi hanno paura che gli agenti federali continuino ad intervenire nelle cure mediche e chiedono che si allontanino almeno dall’ospedale.

Inoltre , alle 12.00 circa di giovedì fecero ritorno due alunni considerati desaparecidos da mercoledi.

Le loro testimonianze sono strazianti. I ragazzi sono stati torturati e bendati durante tutto il tempo della cattura, informò Manuel Oliveras Hernandez.

Non dimentichiamo che ad oggi tanti altri ragazzi sono ancora scomparsi e sottoposti a tortura.

 

 

Verona: fascisti colpiscono, “democratici” ringraziano

Nelle ultime settimane Verona e’ stata protagonista di un forti agressioni fasciste come non si vedevano da tempo.

I fatti sono molto gravi, non ultima l’agressione da parte di 3 fascisti di 17/18 anni armati di manganello ad un cingalese 13enne.

 

Oltre ai “fatti noti” riportati e deformati dai giornali al servizio di sbirri e politicanti, si assiste ad un generale attacco da parte fascista. Il tutto passa come sotto il termine “ragazzata” ma si tratta, in realta’, di minacce e tentati omicidi.

La triste risposta che si osserva da parte della popolazione, anche tra dichiarati “antifascisti”, e’ di una sostanziale  assuefazione e impotenza.

 

Vedere immigrati che dopo esser stati colpiti  invitano alla loro manifestazione il leghista Tosi, noto razzista che ha tra le fila della propria amministrazione componenti dei “Gesta Bellica” (Gesta bellica ), non puo’ che farci render conto del clima in cui vegeta la “Verona democratica”.

 

Non ci resta che l’autodifesa data dalla vicinanza di chi crede che la liberta’ si difende a denti stretti, colpo su colpo.

Per notizie ed eventi si puo’ seguire i compagni veronesi al sito www.autistici.org/liberaa

 

piccione viaggiatore

LA TRAGEDIA DELL’AVANSPETTACOLO

 

 

Vorrei partire dall’aporia che Giorgio Agamben individua nella analisi della Filosofia dell’hitlerismo di Lévinas[1] per riflettere su quanto è accaduto a Firenze, pochi giorni fa.

«L’eredità biologica è un destino – mostriamo di essere all’altezza di questo destino, in quanto consideriamo l’eredità biologica come un compito che ci è stato assegnato e che dobbiamo adempiere?»[2]

Agamben, a parziale commento del precedente passo del biologo e ideologo nazista Verschuer, sostiene che l’aporia del nazionalsocialismo risieda nella folle volontà di trasformare le condizioni fattuali dell’essere umano in un compito storico: la biologia è destino, per l’appunto.

Tale dispositivo biopolitico – l’assunzione della stessa vita biologica come compito politico supremo – è oggi superato? L’autore risponde negativamente alla domanda: «è probabile che il mondo in cui viviamo non sia ancora uscito da questa aporia».

Parlare di destino biologico di fronte all’omicidio di due lavoratori originari del Senegal può forse apparire fuorviante, ma è indubbio che allo stragista Casseri il colore nero della pelle – ricercata come merce di lusso in quel mercato ricco di tanti colori e profumi diversi – deve essere apparsa come la più odiosa delle eccezioni innaturali del suprematismo bianco al quale si onorava di appartenere.  Sebbene il militante fascista differisse per una schietta e tradizionale forma teorica dalle posizioni mimetiche di CasaPound, appare sempre più evidente la sua relazione politica con il partitino di Via Napoleone III.

Complicità, zone grigie, ambiguità e obliquità fanno da sfondo a una strage che vede imputate e imputati niente affatto contigui all’universo neofascista italiano, ma che continuano a gettare fango nel solco che divide la teoria fascista dalle analisi antifasciste.

Sono di poca importanza i nomi, come in uno schedario facile da dimenticare (passano i governi come passano i volti, una longeva notorietà è un traguardo che pochi-e possono vantare), mentre è essenziale rendere conto di dinamiche e appostamenti politici che ogni giorno contribuiscono a cucinare la minestra nella quale organizzazioni di destra radicale affondano il cucchiaio per nutrirsi e pascere sempre più grasse.

Da compagna e da femminista ho disertato la piazza delle nuove nazionaliste di SeNonOraQuando? principalmente perché ritenevo perfino eccedente il legame autoalimentante tra le parole d’ordine e la partecipazione da protagoniste di alcune fasciste di lunga carriera, in particolare del partito FLI.

Flavia Perina, una tra le promotrici di SNOQ e delle comizianti di piazza in febbraio e nel luglio senese, è stata tra le ideatrici, sul finire degli anni Settanta, della rivista fascista femminile Eowyn. Ha condiviso, assieme a Isabella Rauti (assente polemicamente al corteo, e mai tanto rimpianta dalla portavoce del Pd Concita De Gregorio), Annalisa Terranova e altre camerate, l’impegno militante e intellettuale di revisionismo storico per una lettura anti-femminista delle fasciste di Mussolini e della Rsi. L’obiettivo critico delle Eowyn e del Centro Studi Futura mirava a delineare la compiutezza del destino femminile grazie al regime fascista, l’unico ad aver saputo coniugare “la «donna muliebre», fiera della sua specificità ma capace anche di far propria un’etica dai tratti «virili», fondata su rigore, stoicismo, controllo di sé, eroismo e, ancora, «la donna cittadina», «piena di energia morale, d’orgoglio per la patria, di

disprezzo del pericolo, di culto dell’onore, dotata di una spiccata personalità, non chiusa nella casa, non affogata nella famiglia, che sappia sentire, in perfetta sincronia, all’insegna della solidarietà nazionale, l’amor di patria e l’amore della famiglia»”[3].

L’amor di patria e della famiglia erano senza dubbio le uniche preoccupazioni delle SNOQ, così come il patto generazionale tra figlie-madri-nonne-sorelle, il tutto all’insegna della riproduzione per la Patria, mentre invisibili gridavano dalle parole assenti le migranti e le immigrate – ovvero quelle che vengono e quelle che restano – assediate dentro mura spesse di luoghi concentrazionari chiamati Cie, vettori di razzismo di Stato difesi e sostenuti da improbabili alternative di governo. Dicevamo delle complicità e dei luoghi obliqui.

Ma non credo che il problema sia facilmente di chi quelle piazze e quei contenuti ha costruito, in un tentativo mal riuscito di lobbismo mercificato e di mercificazione del corpo delle donne come corpo della patria, per suggellare una nuova sintesi politica che persino le manovre pari-opportuniste di Monti sono riuscite a sprecare.

Si poteva e si doveva disertare quella piazza nazional-colonialista?

«Dovunque regni lo spettacolo, le uniche forze organizzate sono quelle che vogliono lo spettacolo. Perciò nessuna può essere nemica di ciò che esiste, né trasgredire l’omertà che investe tutto»[4].

L’appuntamento mediatico è stato costruito così accuratamente che molte hanno scelto di comprare il ruolo di “presenti criticamente”, così “sinistramente” abbandonato e vuoto, vendendo in cambio – di fatto – l’ennesima accettazione di un patto sociale di sdoganamento politico di fasciste amiche degli stragisti di ieri e di oggi.

In quell’ennesimo, brutto Spettacolo da varietà decadente gli ombrelli rossi sono sembrati solo abiti di scena, e la loro trasgressione – qualora l’avessero avuta – è parsa la medesima espressa dalla cocaina ben dosata da Ferida e Valenti sulle macerie fumanti della Repubblica Sociale.

Sono i contesti o i concetti a fare di un atto una rivolta? O occorrono abbinamenti un po’ più complicati di un ombrello quando non piove?

La minestra era indigesta, soprattutto perché in un siffatto mare il fascismo può calare le sue lenze e abilmente intossicarne le acque in vista di una ricca pescata.

Ma non è tutto. Qual è la portata di una resa semantica al nemico? Si è riuscite a comprendere la posta in gioco, in queste occasioni?

Lo Spettacolo va avanti, anche grazie al ruolo di comparsa che molte hanno scelto di giocare, in quelle occasioni, per paura di non esistere non essendo state presenti.

Io non mi preoccuperei troppo di questo, perché vive e presenti non lo sono state comunque. Non lo sono state nell’impedire con la loro presenza che le fasciste comiziassero dai palchi, né che lo facessero le altre con parole d’ordine biopolitiche, volte al controllo dei corpi delle donne e non certo alla loro liberazione.

Adesso abbiamo assistito ai cortei antirazzisti con bandiere e presenze di Stato che con una mano danno (la loro pelosa solidarietà e la cittadinanza ai “clandestini” ormai morti) e con l’altra tolgono (segregando corpi di donne e uomini migranti nei Cie).

Cortei schizoidi con parole d’ordine vuote come i risparmi delle lavoratrici e dei lavoratori, anche di quelli che ieri erano “abusivi”, oggi da morti ipocritamente “colleghi”.

Continua il flusso mediatico dello Spettacolo, che «isola sempre da ciò che mostra la cornice, il passato, le intenzioni, le conseguenze. Quindi è totalmente illogico. Dato che nessuno può più contraddirlo, lo spettacolo ha il diritto di contraddirsi da sé, di rettificare il suo passato. L’atteggiamento altero dei suoi servi quando devono portare a conoscenza una nuova versione, e forse ancor più falsa, di certi fatti, consiste nel correggere brutalmente l’ignoranza e le interpretazioni sbagliate attribuite al pubblico, mentre erano essi stessi che si affrettavano il giorno prima a diffondere quell’errore, con la loro abituale sicurezza. Così, l’insegnamento dello spettacolo e l’ignoranza degli spettatori passano indebitamente per fattori antagonistici, mentre in realtà si generano a vicenda»[5].

Solidarietà a tutte le vittime del razzismo.

 

Irène Hamoir.

 

[1] G. Agamben, Heidegger e il nazismo in La Potenza del Pensiero. Saggi  e conferenze, Ed. Biblioteca Neri Pozza 2010, pp. 329-40.

[2] O. Verschuer, Rassenhygiene als Wissenschaft und staatsaufgabe, Frankfurt am Main, Bechhold, 1943, p.8.

[3] Centro Studi Futura, Gli angeli e la rivoluzione. Squadriste, intellettuali, madri, contadine: immagini inedite del fascismo femminile, Ed. Settimo Sigillo, 1991, pp. 8-9.

[4] G. Debord, Commentari sulla società dello spettacolo, Ed. SugarCo, 1990, pag. 27.

[5] Ivi, pp. 32-33.

PRENDIAMOCI GLI SPAZI!

Si copia e si incolla da indymedia nord est: http://nordest.indymedia.org/node/8370

Volantino distribuito durante l’occupazione dell’ex albergo Continental sito in viale Venezia, Bassano del Grappa (Vi).

17 dicembre 2011

PRENDIAMOCI GLI SPAZI!

Attraversiamo la città ogni giorno senza viverla, la subiamo come vetrina permanente e luogo di lavoro, imprigionando le nostre vite nella  logica del produci-consuma-crepa. “Perché bisogna far girare l’economia”: e l’economia gira e gira e alla fine crolla!

Banche, negozi, boutique, locali si susseguono in un continuo rimescolamento: come compaiono scompaiono, senza che sia chiaro per chi per cosa per come. Luoghi liberi, luoghi non funzionali a scopi economici non solo non vengono contemplati ma nemmeno accettati. La socialità e il tempo libero hanno senso solo se inglobati nel circuito economico, il passatempo migliore è lo shopping compulsivo. E alla fine cosa ci resta?

Nuove e vecchie colate di cemento ci asfissiano nel corpo e nello spirito.

Occupiamo e ci appropriamo di uno spazio: lo sottraiamo anche solo per una notte ad operazioni di speculazione edilizia e commercio del mattone per creare una zona temporaneamente autonoma e autogestita. Andiamo ai margini, tra le pieghe, in quei vuoti senza un senso per la società e li facciamo nostri. Rivendichiamo la città come luogo di socializzazione, condivisione, sperimentazione, sovvertendo l’idea della città come spazio opprimente, un carcere invisibile a cui siamo incatenati, clienti incantati dalla vetrina permanente.

Quello che vogliamo è riappropriarci del nostro tempo, dello spazio in cui viviamo, delle nostre stesse vite. Riappropriarci della responsabilità individuale verso noi stessi e il mondo che abbiamo delegato ad altri.

OCCUPARE significa restituire uno spazio a chi lo deve e vuole vivere, usare, autogestire.

OCCUPARE significa sospendere il tempo normale che ci stritola e uccide col nostro silenzio assenso.

OCCUPARE per una notte per noi significa sperimentazione e pratica della sovversione, epifania dell’utopia qui ed ora.

Alcune/i fra le /gli occupanti

Verona: parata fascista in universita’

Tratto liberamente da www.autistici.org/liberaa

Stamattina una trentina di militanti di blocco studentesco e casa pound hanno organizzato una orribile parata lungo le vie della zona universitaria e un presidio con tanto di sbandieramenti, volantini,  caschi in mano e chi piu ne ha piu ne metta, nell’area verde del polo zanotto, a fianco alla mensa.
Motivo della contestazione la faziosita’ dell’universita’ colpevole di essere troppo di parte, ostacolando le suddette merde fasciste e favorendo invece la “fazione” opposta: il collettivo studentesco, che un mese fa ha ottenuto una auletta da autogestire.
Nessuno scontro e’ avvenuto, alcuni si sono chiesti cazzo succedesse, pochi si sono filati la parata.

Guarda il video-propaganda che documenta il fantastico blitz:  link