Want to buy some illusions
Slightly used, second-hand?
They had a touch of paradise,
A spell you can’t explain,
For in this crazy paradise
You are in love with pain.
(Friedrich Hollaender, 1948; Marlene Dietrich, A Foreign Affair, 1948)
A seguito della modifica costituzionale francese allo stato di emergenza, chiesta da Hollande dopo gli attentati del novembre 2015, abbiamo ascoltato e letto accorate preoccupazioni – non solo istituzionali – circa il rischio di sospensione della democrazia.
Com’è noto, tale modifica costituzionale può ordinare la limitazione delle libertà formali personali per un periodo di tempo di tre mesi; precedentemente la costituzione francese prevedeva la medesima norma per una durata complessiva di 12 giorni.
Ben lungi dall’essere una norma golpista frettolosamente introdotta dal presidente socialista, l’attuale decisione di Hollande si colloca perfettamente all’interno della tradizione repubblicana poiché, lo abbiamo appena visto, lo stato di emergenza è costitutivamente regola costituzionale, non una sua eccedenza o eccezione.
Ciò che scandalizza dunque lorsignori non è la qualità della norma quanto la sua “quantità”: si preferirebbe cioè mantenere una “giusta” quantità di violenza, di repressione, di autoritarismo, di forza, di ingiustizia sociale, di ipocrisia. Poi, a seguito della spettacolarità delle azioni terroristiche parigine, la giusta distanza e misura aritmetica della politica del benpensantismo di sinistra sono cadute a pezzi come i vetri del Bataclan.
Oltre all’allungamento dello stato di emergenza nel paese da due a 12 settimane, lo Stato in emergenza ha deciso di predisporre l’ennesimo bombardamento di Raqqa e l’intensificazione della guerra in Siria, tentando di porsi a capo di una sgarrupata armata di paesi europei Nato nell’impresa già avviata. Tutto questo cibo per gli occhi sarà accuratamente divulgato all’opinione pubblica, come ulteriore approfondimento della guerra interna, con l’inutile farsa del Cop21 a introdurre l’entrata in scena dello Stato “tutto d’un pezzo ma senza perdere la delicatezza”.
A interessarsi del “rischio” di assottigliamento dello stato di diritto è anche la star americana Judith Butler, preoccupata che “lo stato di emergenza dissolva la distinzione tra Stato ed esercito”[1].
Esiste davvero una distinzione tra un presupposto stato di diritto e il suo braccio armato, tra il legislatore e il suo celebre dispositivo di monopolio della violenza?
In una conferenza al Collège international de philosophie di Parigi dell’ormai lontano 1996, Giorgio Agamben si chiedeva se “dimoriamo ancora senza rendercene conto sui margini del nazismo”[2]. Basta leggere Agamben per comprendere quanta comoda e compatibile banalità vi sia nelle parole di Butler, e nella attuale interpretazione riformista della governance foucaultiana di Toni Negri, messa fortemente in discussione da intellettuali a lui vicini come, ad esempio, Maurizio Lazzarato[3].
Agamben, com’è noto, ri-definisce il foucaultiano esercizio moderno del potere come potere sulla vita[4]: l’uomo cessa di essere ciò che era per Aristotele, “un animale vivente ed inoltre capace di un’esistenza politica”[5], per divenire “un animale nella cui politica è in questione la sua vita di essere vivente”[6]. L’intento è dimostrare che la disposizione delle tecniche di bio-potere emerge non tanto da un arte del governare, quanto da una teoria del potere sovrano, rielaborando criticamente la definizione schmittiana di sovrano, inteso come “colui che decide della situazione di eccezione”[7]. La sovranità non è dunque la fonte esclusiva della produzione di leggi, ma la capacità di disporre lo spazio di esclusione all’interno stesso dell’ordine giuridico:
«Riprendendo un suggerimento di J. L. Nancy, chiamiamo bando (dall’antico termine germanico che designa tanto l’esclusione dalla comunità che il comando e l’insegna del sovrano) questa potenza (nel senso proprio della dunamys aristotelica, che é sempre anche dunamys me energhein, potenza di non passare all’atto) della legge di mantenersi nella propria privazione, di applicarsi disapplicandosi. La relazione di eccezione é una relazione di bando»[8].
La determinazione politico-filosofica di sovranità è distintamente affrontata in due inconciliabili versioni, quella butleriana che definisce lo Stato come origine della norma legale e principio di una rigorosa partizione tra violenza e diritto; quella agambeniana che colloca lo Stato a principio di una decisione sulla situazione d’eccezione, nella quale è impossibile distinguere il fatto e il diritto.
Hollande agisce in una relazione di bando, e non da ora, men che meno unico nella fortezza Europa. Viviamo da sempre immersi in una relazione di bando poiché laddove esiste legge vi è chi ne è incluso e chi non lo è, con buona pace delle retoriche contrattualiste democratiche. E’ la legge a costruire spazi giuridici e non lo abbiamo inventato noi, ma chi la legge dispone.
E se il corpo politico è “affetto” da simile pre-disposizione, il suo applicarsi disapplicandosi non è eccezione, ma regola assiomatica.
Siamo banditi, quando la porta chiusa dietro di noi è quella di un Cie-Cpt, di un lager africano, di un campo-nomadi delimitato da torri carcerarie, o quella dei recinti di filo spinato, in Val di Susa come in Serbia o Ungheria. In quale “condizione democratica” ci troviamo se non in quella di banditi da territori dello Stato, quando veniamo catturati da dispositivi amministrativi definiti languidamente “fogli di via”?
A dispositivi di cattura corrisponderanno azioni di evasione, questo è già il presente.
Non perderemo tempo con chi vuol giocare alle guardie – non saremo più o meno ladri per questo, ma per nostra libera scelta – e di certo non ci interessa arruolarci nei passatempi dell’idiota democratico.
Se a Parigi, nel lampo di dolore, si è avuto solo un breve, intenso momento di deflagrazione di realtà dall’incubo quotidiano contemporaneo, esso si è subito assopito nella decerebrante e “social” opposizione tra gli allegri della Ville Lumière e gli oscuri del Daesh, in una recita hollywoodiana (in)degna di Star Wars.
Nell’odierno esercizio di esclusione, mentre lo Stato limita l’organizzazione dei corpi nello spazio-tempo, politicizza i loro recinti e carceri, arruolando il qualunquismo nel parossismo della merce, reificando ciò che è già reificato, spettacolarizzando lo spettacolo.
Continuate dunque ad andare ai bistrot a bere champagne, come usava suggerire Marie Antoniette! Le merci devono girare, le bombe cadere, gli uomini e le donne consumare.
Consumare consumandosi, tra un attentato urbano e quello rituale quotidiano alla propria vita.
Eppure, tra le crepe di queste macerie che chiamiamo società, c’è chi osserva i punti deboli e le vie di fuga, disegna portolani mobili, allestendo in fretta e furia attracchi d’emergenza, illuminando fari abbandonati, abbordando in alto mare.
[1] www.effimera.org/il-lutto-diventa-legge-di-judith-butler/
[2] G. Agamben, Heidegger e il nazismo, in La potenza del pensiero. Saggi e conferenze, Neri Pozza 2005. Si veda anche http://aranea.noblogs.org/la-tragedia-dell’avanspettacolo/
[3] M. Lazzarato, Il governo dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista, DeriveApprodi, 2013. Si veda in particolare pp. 5-20
[4] Cfr. M. Foucault, La volonté de savoir, Paris 1976; secondo l’edizione italiana, La volontà di sapere, a cura di P. Pasquino e G. Procacci, Milano 2013, p. 123 (ed. fr. p. 183).
[5] M. Foucault, cit. p. 127 trad. it. p. 188.
[6] Ibid.
[7] «Souvëran ist, wer über den Ausnahmezustand entscheidet», C. Schmitt, Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, in Le categorie del politico, trad. it. a cura di P. Schiera, Bologna 1972, p. 33.
[8] G. Agamben, Homo sacer I, Einaudi, 2005, p. 34.