Il documento che i post-disobbedienti (Un “comune politico”: la sfida di un anno duro) ci hanno fatto trovare sotto l’albero di Natale merita qualche considerazione, in quanto – seppure firmato soltanto da Luca Casarini – appare come un’elaborazione collettiva finalizzata a motivare l’ennesima stagione di quella precisa area politica che, con epicentro il Nordest, negli ultimi decenni ha cercato di imporsi come superamento trendy della vecchia sinistra e riferimento delle opposizioni sociali, salvo poi farle annegare nel pantano della mediazione come avvenuto a Vicenza per la lotta contro il Dal Molin.
Un percorso di ricerca d’egemonia politica e culturale, peraltro, sempre collegato all’ambizione di autonominarsi e presentarsi come “rappresentanza dei movimenti” davanti ai partiti di turno o di moda (Rifondazione Comunista, i Verdi, l’Unione, il PD ed ora Sinistra e Libertà) coi quali mercanteggiare pacchetti di voti, spazietti di potere istituzionale, finanziamenti pubblici e possibilità di “auto-reddito” all’ombra dei municipi amici.
Le parole dicono molte più verità di quanto s’immagini, così è anche per questo documento e la prima cosa che salta agli occhi è la scomparsa degli immancabili riferimenti-mantra all’impero e alle moltitudini, a conferma che persino Toni Negri è stato accantonato perché troppo “ideologico”: d’altra parte non era agevole adattare la critica negriana, comunque di matrice operaista, alle più disinvolte derive della bio-politica o del “leghismo di sinistra” perorato proprio da Casarini appena due anni fa.
Al loro posto è stato assunto l’orizzonte del lessico, anzi, della “narrazione” di Vendola, ormai eletto ad interlocutore privilegiato del nuovo ciclo post-disobbediente che, dietro lo specchietto per le allodole della “ricomposizione”, persegue il proprio organico inserimento nel “nuovo” partito parlamentare. Infatti, tra le righe, si legge che non è più tempo di limitarsi “alla riproposizione né alla semplice critica dei partiti” e tanto meno rifarsi ai “miti degli altri”, alludendo al marxismo rivoluzionario o all’anarchismo.
Questi infatti sono retaggi anacronistici del secolo scorso ed è curioso osservare che le stesse argomentazioni si possono udire e leggere a destra, tanto che in un articolo -sconclusionato quanto sbirresco- contro la “sinistra estremista” pubblicato su Il Giornale il 30 dicembre, si concludeva sostenendo che “E’ il Novecento che non vuole passare la mano al futuro”.
Quante volte abbiamo abbiamo udito simili argomentazioni dagli stessi che oggi, per adeguarsi alla “fase”, non si esitano a ritirare fuori quanto era stato snobbato come ciarpame novecentesco, riscoprendo con toni pietistici l’esistenza degli operai e della fabbrica (oltre a quella di Niki), dopo che per anni erano stati eletti a soggetti decisivi della trasformazione sociale le partite Iva, i lavoratori immateriali o il terzo settore?
Basti ricordare come, in uno dei loro tanti stucchevoli giochetti semantici, la storica sigla del sindacalismo rivoluzionario e di classe IWW (Industrial Workers of the World) era stata riciclata come “Invisible Workers of the World”.
Ma il “documento” natalizio contiene altri passaggi interessanti e in particolare quelli che rivelano l’inquietudine per quanto avvenuto a Roma il 14 dicembre, quando migliaia di giovani hanno rivoltato lo scontato copione previsto per l’ennesima manifestazione anti-Gelmini, spiazzandone i registi politici (studenti del PD, post-disobbedienti, SEL). Atene in realtà brucia e spaventa gli apprendisti stregoni e, visto che il manesco servizio ordine non è servito se non a mandare all’ospedale un ragazzo, per cercare di riprendere il controllo della situazione ora si giudica inadeguata e schizofrenica la mobilitazione, facendo credere che ad incendiare un blindato, a rivolgersi al presidente della Repubblica e invocare la Costituzione, siano stati gli stessi soggetti.
Tra l’altro, se proprio si è interessati alla sindrome schizoide, bisognerebbe riandare proprio alle pratiche di questa camaleontica area politica (autonomi padani-tute bianche-disobbedienti-resistenti-invisibili-global-senza volto…) che in questi anni ha alternato la spettacolarizzazione del tafferuglio alla difesa della democrazia, la violazione dei divieti al dialogo con le istituzioni, l’apologia del riot all’assunzione di ruoli interni alla “governance”.
L’anno che ci attende sarà sicuramente duro, ma non sarà tenero neanche nei confronti di chi ha la presunzione di scrivere la storia.
Etciù Danke
Approfondimenti: disobbedienti, leghisti di sinistra o marxisti non di sinistra? http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2008/un29/art5425.html