L’anarchia non è obbligatoria

Solchiamo tempi strani, dove poche bussole non risultano impazzite.

Questa perdita d’orientamento riguarda anche coloro che si avvicinano all’anarchismo non tanto per una consapevole conoscenza e condivisione del pensiero anarchico -e una conseguente adesione al movimento libertario ed alle sue pratiche- ma piuttosto sull’onda di una generica insofferenza verso l’esistente e una viscerale ripulsa verso i partiti ufficiali e la cosiddetta “politica”.

Simile atteggiamento infatti, storicamente definito come qualunquismo, non ha niente di rivoluzionario e da sempre è utilizzato da destra per legittimare la necessità di “una mano forte” per mettere fine alle “eccessive” libertà individuali, politiche, sindacali… formalmente riconosciute dalla democrazia.

Secondo tale approssimata visione – ossia il populismo- alla casta dei politici corrotti (di ogni colore) si contrappone il popolo onesto e vessato. Tale contrapposizione è mistificante per varie ragioni: in primo luogo il “popolo” è una categoria indistinta e interclassista che unisce sia Berlusconi che l’ultimo dei miserabili in quanto “ugualmente” italiani: il popolo -come la gente o la moltitudine- è tutto e nessuno.

Non è un caso che il partito delle destre si chiama Popolo delle Libertà.

In secondo luogo, se la causa delle ingiustizie sociali viene principalmente individuata nell’esistenza dei partiti, i capitalisti e il sistema economico dominante risultano non solo assolti ma persino resi invisibili.

Inoltre, accettando in modo acritico la categoria mitica del “popolo” si finiscono per ignorare le relazioni di servitù volontaria, subalternità culturale e complicità col potere che, purtroppo, anche buona parte del “popolo” accetta e perpetua.

Non è un caso che, fin dagli anni Venti e Trenta, questo dirsi “né di destra né di sinistra” è stato il brodo di cultura dell’infezione nazifascista,

In un certo senso, in molti finiscono per simpatizzare per l’anarchia in modo del tutto analogo con il quale potrebbero approcciarsi a movimenti d’opinione telecomandati, sul tipo di quello sponsorizzato dal guru Grillo o il cosiddetto “popolo viola”, dentro cui si mescolano elementi di sinistra (pochi) e di destra (molti).

L’aspetto che di norma si tende ad ignorare è che, a differenza di simili estemporanei fenomeni comunque interni alla politica-spettacolo, l’anarchismo non è un vuoto a perdere, buono per tutti gli usi; ma un’esperienza storica di radicale opposizione, con una sua progettualità per la sovversione sociale forte di oltre 150 anni di lotte proletarie, volontà individuali di rivolta e insurrezioni collettive.

E se il movimento libertario, nella sua molteplicità di approcci e tendenze, offre disponibilità al confronto e riconosce come compagni di lotta anche chi non condivide le idee anarchiche, questo non significa affatto che sia un ombrello sotto cui porre qualsiasi interpretazione personale dell’anarchia.

Personaggi ambigui, ad esempio, come uno Sgarbi o un Massimo Fini si sono sovente dichiarati anarchici; ma aldilà di questa professione ormai quasi di moda, contano le loro scelte e affermazioni politiche: autoritarie, reazionarie, sessiste e comunque volte alla sopraffazione.

Per di più il primo è da sempre sul carro berlusconiano, mentre il secondo dimostra il proprio ribellismo scrivendo su quotidiani borghesi, sulla rivista della Bocconi nonché libri contro le donne per una casa editrice parafascista.

Invece l’anarchismo è, in primo luogo, una precisa scelta di campo: una scelta partigiana.

Si può essere individualisti o comunisti, organizzatori o antiorganizzatori, educazionisti o insurrezionisti, ma comunque certi presupposti sono fuori discussione perché definiscono l’anarchismo stesso.

Nessuno/a è obbligato a condividerli, ma sia chiaro che chi non vi si riconosce si colloca fuori dall’anarchismo.

Il rifiuto coerente di ogni potere (politico, militare, religioso…) e di ogni sfruttamento (sia questo capitalista o statale), di tutte le discriminazioni (razziste, di genere…), delle diverse forme di coercizione (polizie, leggi, carceri, lager, sedie elettriche, torture, repressione, proibizionismo…) non sono un “optional”, bensì punti fermi di un pensiero davvero alternativo e antagonista al dominio.

La libertà non ammette limitazioni da parte dei suoi nemici.

Fuori da questi paletti c’è l’autoritarismo comunque mascherato o l’illusione riformista, ossia la convinzione di poter pacificamente umanizzare l’inumano.

D’altra parte la libertà non è obbligatoria, così come nessuna/o è tenuto ad essere sovversivo.

Se ci sono molte persone che sostengono di credere in dio a modo loro perché sentono stretti i comandamenti e la morale cattolica, questo discorso non può essere quello di quanti si riconoscono nell’anarchia dato che questa non è una religione né un’ideologia, ma soprattutto un metodo.

Un metodo incentrato sull’autoemancipazione, attraverso l’impegno per l’autoformazione individuale, l’azione diretta e l’autogestione collettiva. Perché la liberazione è rivoluzione quotidiana, a partire dal proprio intessere relazioni e vivere in un mondo che certo non è il migliore possibile.

Chi imbocca altre strade, magari atteggiandosi ad “eretico” dell’anarchia, in realtà finirà per giungere dove lo portano queste strade e non dove questi sostiene di voler arrivare.

Il presente invece sembra dominato dalla “logica” della biscia: oggi si afferma una cosa, domani si sostiene serenamente il contrario, sempre adeguandosi al senso comune, evitando come la peste l’autocritica e cercando di svicolare il conflitto, perché… “in fondo tutti hanno tutti ragione”.

Il lunedì ci si professa antiproibizionisti e il sabato si manifesta con Travaglio agitando le manette per i politici pregiudicati; il martedì ci si dichiara “resistenti” e il giovedì si sostiene che l’antifascismo è un’anticaglia; il venerdì vorremmo strangolare Bossi o Berlusconi senza neanche renderci conto che ormai parliamo -e forse pensiamo- come loro.

Tutti si sentono in dovere di esprimere opinioni, ma ben pochi le trasformano in convinzioni, difendendole come tali: sarebbe già un passo avanti fare questa “piccola” rivoluzione.

CFG