“Serve una Thatcher per la sinistra”?

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Slavoj Žižek

Serve una Thatcher per la sinistra

Internazionale n. 997, anno 20, 25 aprile/2 maggio 2013 (Articolo originale qui)

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A pochi giorni dal funerale forse maggiormente mediatizzato nella storia dei leader politici dalla fine della secona guerra mondiale – se eccettuiamo poche eccezioni, certo non contraddistinte dagli Osanna di tutti i capi di stato e di partito occidentali – il filosofo Slavoj Žižek scopre la meravigliosa capacità egemonica della Thatcher, oltre ai suoi meriti personali.

Sarebbe fin troppo facile polemizzare con lui sulla base di una simpatia dichiarata per la defunta, oggetto di contestazione anche nel giorno della sua celebrazione ex-post.

E’ perfino imbarazzante dover spiegare brevemente che se la presupposta egemonia thatcheriana è stata certamente evidente nel partito laburista, al contrario è stata profondamente estranea ai bisogni (senza scomodare i desideri) della classe operaia inglese, degli studenti e studentesse del Regno Unito, di tutti-e coloro che grazie alla leadership della Madame hanno scoperto o inventato bellissime scorte di sotto-cultura come il punk.

Uno dei difetti più grandi di certi teorici è ritenere la massa poco più di un rumore di sottofondo, fastidioso a tratti, sul quale si alzano profonde e perentorie le voci dei Soggetti unici della Storia.

Essi sono uomini, adulti, sono stati eletti o meno (un dettaglio), sono sempre espressione della classe dominante, qualunque essa sia. Non fa eccezione la Thatcher (né la Merkel, aggiungo) sostiene Ken Loach, poiché esse sono “maschili” quanto e più dei loro colleghi. Se non basta essere dotate di organi riproduttivi per fare una politica diversa da quella patriarcale, di certo è evidente a tutte, oggi, che men che mai tali organi possono fornire anticorpi utili alle politiche di dominazione e colonizzazione capitaliste.

Non vi è “eccezionalità” se non biologica, ed essa ha un valore e conta solo per le classi subalterne (quelle si, biologizzate e razializzate, come deve essere per chi sta sopra).

Tuttavia, non voglio evitare il tema né la tesi di Žižek e dunque giungo al punto.

Žižek sostiene che le proteste e le proposte – già attuate perché sperimentali, quindi praticate – di gruppi almeno significativi di popolazione europea, americana e africana “rappresentano una sorta di ‘ostacolo epistemologico’ a un vero confronto con l’attuale crisi del nostro sistema politico”. Nella storia, sostiene il filosofo, il Capo rappresenta la divisione (e la sua soluzione positiva) tra vecchio e nuovo, tra chi “vuole tirare avanti all’interno dei vecchi schemi e chi è consapevole della necessità di un cambiamento”.

Ovviamente il Capo è illuminato, e pur provenendo da una delle due fazioni calcistiche – lo supponiamo, dato che il filosofo si dimentica di offrirci numi circa la sua provenienza sociologica e/o politica – farà ciò che è giusto. L’aspettativa messianica in tempi di crisi è comprensibile, soprattutto se viene da un teorico di quella religione laicizzata che è la psicoanalisi, quel che lascia un pochino perplessi è l’evidente mancanza di fantasia che tale prospettiva denuncia. Il conformismo abissale di siffatta speranza potrebbe essere perfino oggetto di sarcastiche considerazioni gramsciane a proposito del “buon senso comune”.

L’autorganizzazione diretta è per Žižek un “mito”, “l’ultima trappola, l’illusione più profonda che deve ancora cadere e quella a cui è più difficile rinunciare”.

Se è vero, come sostiene il Prete laico delle belle Speranze, che in ogni processo rivoluzionario “ci sono momenti estatici di solidarietà di gruppo”, e anche “momenti di intensa partecipazione collettiva”, la Religione dell’ordine conformista ci ricorda a duro monito che tuttavia “queste situazioni non durano”.

E attenzione: non durano non perché represse nel sangue proprio per mano dei sicari dell’ordine conforme della Repressione – i cui Capi soltanto! conoscono e perseguono il nostro bene – ma perché “la stanchezza qui non è un semplice fatto psicologico, è una categoria di ontologia sociale”.

Ve li ricordate, si?, i compagni a Kronstadt quanta noia…come decisero spontaneamente di arrendersi a Trotskj offrendogli le armi e le munizioni…e come i partigiani e le miliziane spagnole, dopo mesi di sofferenza, stenti, fame, malattie e uccisioni in trincea, stufi di tanto ardimento, scelsero di restituire a Franco la Spagna, con mediazione dell’altro Capo illuminato della fazione comunista-conformista Stalin…e ancora oggi, c’è da prevedere un repentino crollo di sonno da parte delle compagnie zapatiste, che da molto (troppo!) resistono persino senza un Capo (e cantino due ave maria per penitenza!!).

Fortuna che c’è Žižek, che sa già cosa è il nostro bene: “la grande maggioranza – me compreso – vuole essere passiva e affidarsi a un apparato statale efficiente che garantisca il funzionamento dell’intero edificio sociale, per potersi dedicare in pace alle sue attività”.

Certo, per il prete Žižek è facile che questo sia vero. Per un lavoratore thatcherizzato un po’ meno, poiché “le sue attività” rischiano fortemente di essere il solo lavoro schiavizzato, una morte causata dall’organizzazione produttiva, il carcere se trasgredisce le regole del Capo. E credo di potermi arrischiare a stilare una lunga lista di biografie non dissimili, se non per età, sesso, etnia, orientamento sessuale, abilità ecc., che partecipano della stessa classe sociale (più o meno, ma ci intendiamo) del lavoratore di cui sopra.

Guarda caso, complotto dei complotti, gli stessi soggetti che autogestiscono l’esistente in questi tempi di crisi…quale presunzione!

E Žižek infatti si affretta a metterci una toppa (che non si dica che ne sa una più del diavolo): “quanto alla moltitudine molecolare autorganizzata contro l’ordine gerarchico sostenuto dal riferimento a un leader carismatico, si noti l’ironia del fatto che il Venezuela – un paese elogiato da molti per i suoi tentativi di sviluppare modalità di democrazia diretta (consigli locali, cooperative, lavoratori alla guida delle fabbriche) – è anche il paese che ha avuto come presidente Hugo Chàvez, un forte leader carismatico”.

Molto ironico davvero…soprattutto l’elogio di Chàvez, proveniente in larga misura dai Capi dei paesi americo-latini capitalistici: un mix di bon ton istituzionale e empowerment di mercato.

Chiedesse Žižek ai lavoratori e alle lavoratrici venezuelane se sono tutti e tutte così tanto contente della via chàveziana. Ma sono solo rumori di sottofondo, e, fossero anche insorti, in procinto di abdicare al potere per ragioni “ontologiche”, pardon, decise dal Signore, che poi è lo stesso che dire “ontologia”.

Non ci dilunghiamo oltre, dato che il prete Žižek chiama in aiuto un altro grande Prelato dell’Ordine da ripristinare, Alain Badiou, a sostegno del fatto che “un soggetto ha bisogno di un Capo per elevarsi al di sopra dell’ ‘animale umano’”.

A Žižek e all’amico di fede Badiou auguriamo di trovarsi, un certo giorno di un certo anno a venire, in una piazza Tahrir di un qualsiasi luogo, attorniati da masse animalizzate e affette da un non meglio precisato “senso di minorità”, ma in preda ad un incontrollato e deleuziano desiderio di farla finita con i Capi/Padri dell’Edipo.

 

Magù

ESSERI SINISTRI

Voglio ricordare che la legalità è un valore di sinistra e che condannare e combattere la violenza e i violenti è di estrema sinistra.(Stefano Esposito, senatore PD. La Stampa, 16 maggio 2013)

Al partito sono preoccupati? Non devono esserlo: nessuno vuole spaccare vetri.

(Andrea Giorgio, segretario regionale toscano Giovani Democratici. Il Tirreno, 11 maggio 2013)

 

evaso

 

Per qualche secolo, l’essere di sinistra coincidendo con il pensiero socialista ha significato un agire politico e sindacale per l’emancipazione della classe lavoratrice, rivendicando nell’immediato uguaglianza economica e giustizia sociale e prefigurando l’abolizione dello sfruttamento capitalista e il superamento dello stato borghese.

L’anarchismo, ponendosi fuori dalla tattica parlamentare, si è storicamente posto all’estrema sinistra del movimento socialista, optando per la rivoluzione sociale e la contemporanea distruzione di ogni potere politico e quindi la negazione di qualsiasi governo o stato, comprese le varianti liberali, democratiche e socialiste, ritenendo necessaria e fattibile l’autogestione generalizzata della società. 

Questo progetto radicalmente alternativo ha di conseguenza segnato la differenza di pratica e etica tra l’anarchismo e le ipotesi riformiste dei partiti socialdemocratici, ma anche verso le opzioni autoritarie dei partiti comunisti volte a instaurare il socialismo di stato.

Tali differenze, anche conflittuali, tra socialismo libertario, legalitario e autoritario restano immutate nella sostanza, alla luce sia della caduta dei regimi “comunisti” che di fronte alla crisi epocale del capitalismo e del suo ordinamento politico, assieme a tutte le illusioni progressiste di modifica umanitaria o di pacifica democratizzazione, tanto che gli eredi di quella che fu la “sinistra riformista” appaiono ormai precipitati dentro una voragine di senso e identità.

Smarriti o rinnegati i riferimenti e i principi alla base del pensiero socialista (e persino quelli ereditati dalla rivoluzione francese: Liberté, Égalité, Fraternité) ritenuti alla stregua di anticaglie, elettori ed iscritti stanno quindi ora scoprendo il nulla che regna dietro i propri dirigenti e, soprattutto, il vuoto di opposizione e alternativa al naufragio di un sistema politico e economico.

Prima l’autodistruzione craxiana del partito socialista, dissoltosi proprio quando stava per festeggiare il centenario della sua fondazione, quindi la progressiva dissoluzione del partito comunista e la sua mutazione in un partito dichiaratamente “non di sinistra”.

Per decenni, tale vuoto è stato dissimulato dall’antiberlusconismo, ma adesso che il “nuovo” governo di larghe intese non lascia margini di speranza ai lavoratori e ai senza reddito, il cadavere della sinistra politica è davanti a tutti: dopo decenni di compromessi, responsabilità, concertazione, sacrifici, moderazione è arretrata – cedimento dopo cedimento – sino a non avere più spazi di manovra e rovinare in una desolante resa totale.

Eppure, neanche in un frangente in cui sarebbe vitale trovare coraggio e energia per ridare forza all’iniziativa e alla voglia di effettivo cambiamento che pure esiste nella società, la principale preoccupazione governativa di una ex-sinistra datasi volontariamente in ostaggio alla destra è che non esplodano in forma conflittuale le contraddizioni sociali, né che venga messo in discussione il dominio del capitale, anche quando è ormai evidente che la logica del profitto sta condannando l’umanità alla miseria, alla distruzione dell’ambiente e allo stato di guerra permanente.

Piuttosto che dare spazio alle lotte, ai movimenti di base e all’autorganizzazione dal basso, si accetta con rassegnazione lo stillicidio di suicidi per mancanza di lavoro, reddito, futuro mentre, alla faccia della retorica della crisi che colpisce tutti, continua a crescere il divario tra chi ha e chi non ha.

La stessa preoccupazione per l’ordine pubblico percorre non casualmente la destra, come attestano le parole del ministro postfascista dell’interno Alfano, ma anche SEL che, per bocca del suo leader Vendola ha più volte condannato ogni “estremismo”, così come quel Movimento 5 Stelle che vuole accreditarsi come unica opposizione e alternativa “gandhiana” alla rivolta. Emblematica la recente dichiarazione di Grillo: «In Europa sono rimasti agli scontri di piazza mentre noi abbiamo fatto entrare la polizia nel movimento» (Corriere della Sera, 19 maggio 2013).

Sarebbero questi quelli che dovevano “destabilizzare il sistema”?

 

CFG