L’anarchia e le sue immagini

 

 

L’anarchia e le sue immagini

anarchy-anarchia-7026b

 

 

Sui giornali, ma anche nel web, è possibile imbattersi in ricorrenti quanto infondati riferimenti ai simboli dell’anarchia, costantemente presentati quali elementi cupi e ambigui di un movimento che si vuole additare e criminalizzare come temibile e insidioso.

Eppure non c’è niente di oscuro e misterioso, nella storia della componente più antica e conseguente della lotta per l’emancipazione sociale, basta volerla conoscere.

Una bella esposizione delle interpretazioni della simbologia anarchica si trova nel racconto che Marie-Christine Mikhailo fa di un incontro con Pier Carlo Masini, storico dell’anarchismo, al quale era stato chiesto di parlare dei disegni che ornavano le testate dei giornali italiani:

Si comincia con un mare in burrasca, diceva Masini, è la classe operaia che si risveglia, e con un mezzo sole all’orizzonte, i cui raggi portano la speranza di un mondo migliore. Il disegno ha un certo successo e sarà per questo ripreso da altri periodici, ognuno dei quali aggiunge un particolare con l’idea di migliorarlo. Così, un anno si vede il sole che lancia i suoi dardi su un mare più calmo, poi compare una nave le cui vele si gonfiano al vento della Storia.

 […] Nel corso degli anni certi giornali apportano novità all’illustrazione originale. Sulla riva appare una donna nuda che solleva una torcia, le cui fiamme disegnano la parola Libertà. Di fronte c’è sua sorella, anch’essa senza vestiti, che schiaccia sotto un piede la legge. Orrore! Un serpente le si avventa contro e sta per morderla a una gamba. Per fortuna un uomo a torso nudo e tutto muscoli (un operaio, si vede!) colpisce con la spada la bestia infame che abbiamo riconosciuto: è la Chiesa.

 […] In quel momento [commenta Marie-Christine] la fantasia ha forse preso il sopravvento sulle conoscenze dello storico? Che importa? Gli occhi dei più giovani, fissi su di lui, lo stimolavano certamente, ed egli è stato capace di conquistarli. Si indovinava, dietro al tono ironico, un’autentica ammirazione per coloro che, con poveri mezzi, avevano cercato di avvicinare i lettori all’Idea.

 

La diffusione d’immagini su larga scala è un fenomeno relativamente recente, visti i mezzi a disposizione. Fino a quel momento, le uniche immagini erano quelle dei libri e dei giornali. Solo intorno agli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso riprodurre i documenti diventa più semplice e accessibile, grazie alle fotocopie e alla stampa offset. Le scritte e i disegni sui muri sono mezzi d’espressione che quasi non esistevano prima delle manifestazioni del Maggio 1968.

Certe immagini e certi simboli tendono allora a diventare una sorta di icone senza storia (per esempio l’immagine di Che Guevara su generi di consumo di ogni tipo). Il contesto della loro comparsa e della loro evoluzione può servire a restituire un senso talora difficile da cogliere e comprendere.

 

La bandiera nera

Diciamo prima di tutto che la “bandiera nera” non è propriamente una bandiera e non è necessariamente nera. Tuttavia, con questo nome è diventata un segno e un simbolo dell’anarchia.
Nel 1831, in un quadro di lotte sociali che precede il sorgere del movimento anarchico in quanto tale, i canuts (operai e operaie delle manifatture della seta) di Lione si ribellano alle condizioni di lavoro loro imposte. In novembre scoppia un’insurrezione di tre giorni, che porterà a una vittoria con le armi. I canuts si battono sotto un vessillo nero sul quale è ricamata la parola d’ordine: Vivre en travaillant ou mourir en combattant [Vivere lavorando o morire combattendo]. Nello stesso periodo, parallelamente, nel movimento operaio s’afferma anche la bandiera rossa, usata come segnale di adunata nelle dimostrazioni proletarie e socialiste e, in particolare, durante la Comune di Parigi (1871).

E’ stata avanzata l’ipotesi che il rosso sia stato abbandonato in seguito alla scissione successiva al Congresso dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori del settembre 1871 all’Aja, che vide la nascita della Fédération Jurassienne. Il 18 marzo 1882, nel corso di un’assemblea a Parigi, la comunarda anarchica Louise Michel avrebbe rivendicato l’adozione della bandiera nera, per dissociarsi senza ambiguità dai socialisti autoritari e parlamentaristi.

Il 9 marzo 1883, nel corso di una manifestazione a Parigi che riuniva circa quindicimila disoccupati, Louise Michel agitò una bandiera nera (forse, soltanto una sottana o di un grembiale nero da lavoro legato ad un manico di scopa). come segnale di raccolta e riscossa. Circa cinquecento persone saccheggiarono tre forni, reclamando pane e lavoro, prima di essere dispersi dalla polizia. Louise Michel, identificata dalle forze dell’ordine e accusata di avere istigato i disordini, sarà successivamente imprigionata e deportata in Nuova Caledonia.

Nell’agosto 1883, la pubblicazione a Lione del periodico francese «Drapeau Noir» permise in certa misura di divulgare la scelta di questo segno.

La bandiera nera arriva in America nel 1884, secondo lo storico Paul Avrich. Sarebbe stata esposta, il 27 novembre di quell’anno, sulla Market Square di Chicago, in occasione di una manifestazione operaia promossa dagli anarchici dell’Internazionale. Secondo un giornale militante locale, «The Alarm», a fianco del tradizionale vessillo rosso, sul palco degli oratori, sventolava una grande bandiera nera. I due stendardi, dopo i comizi, presero insieme la testa del corteo che attraversò la città.

Tra il 1911 e il ’14, durante la rivoluzione messicana nera è la bandiera degli insorti contadini guidati da Emiliano Zapata recante la scritta Tierra y libertad, mentre in Nicaragua il comandante rivoluzionario Sandino adotterà una il rosso e il nero per la bandiera della lotta di liberazione, poi ereditata dal Fronte Sandinista.

Anche l’armata contadina di Nestor Makhno, in Ucraina, nel corso della rivoluzione russa del 1917-21, utilizzarono il vessillo nero come propria bandiera, con il teschio e le tibie incrociate, riportante la scritta «Morte a tutti quelli che sono d’ostacolo! Conquista della libertà per i lavoratori!». L’armata maknovista difenderà la rivoluzione sociale sul proprio territorio, opponendosi con le armi sia alle truppe controrivoluzionarie “bianche” che a quelle “rosse” del potere centrale bolscevico.

Il 13 febbraio 1921 si svolsero a Mosca gli immensi funerali di Kropotkin. Molte persone che seguivano il feretro portavano bandiere nere e altre con lo slogan: «Dove c’è autorità non c’è libertà»: fu in pratica l’ultima apparizione delle bandiere nere nella Russia sotto la dittatura sovietica.

Nel corso della rivoluzione spagnola del 1936-39, predominano le bandiere nere degli anarchici della FAI e quelle rosso-nere degli anarcosindacalisti della CNT: con gli stessi colori – ormai simbolo dell’autogestione generalizzata – vengono dipinti fabbriche collettivizzate, autoblindo autocostruiti, mezzi pubblici socializzati e automobili autoprodotte.

In Italia, dopo il ventennio di dittatura fascista e resistenza clandestina, le bandiere e le coccarde rosso-nere ricompaiono nei giorni della Liberazione tra le fila partigiane.

Il poeta surrealista André Breton ricorderà con emozione la comparsa della bandiera nera, in mezzo a a molte altre rosse, nelle manifestazioni operaie e antifasciste negli anni Trenta in Francia, dove riappare impetuosamente nel 1968, durante la rivolta del Maggio, sventolando sulle università e le fabbriche occupate, nuovamente a fianco di quelle rosse.

 

Perché il nero?

L’adozione del colore nero – tornato recentemente alla ribalta con le azioni del Black block – vede diverse ipotesi interpretative e semiologiche, ma appare sempre legata alla lotta di classe e alle condizioni estreme del periodo in cui è comparso. È un colore, o meglio un non-colore forte, il simbolo dell’anarchismo, e ne rappresenta le lotte principali, contro la religione, contro l’economia e, soprattutto, contro lo Stato. Mentre il rosso fa classicamente riferimento al sangue, al pericolo e alla collera; il nero evoca la miseria, il  lutto, ma anche il risentimento.

Questa l’interpretazione offerta dall’anarchica Emma Goldman:

 

La bandiera nera è il simbolo dell’Anarchia. Essa provoca reazioni che vanno dall’orrore alla delizia tra quelli che la riconoscono. Cercate di capire cosa significa e preparatevi a vederla sempre più spesso in pubblico… Gli Anarchici sono contro tutti i governi perchè credono che la libera ed informata volontà dell’individuo sia la vera forza dei gruppi e della stessa società.

Gli Anarchici credono nell’iniziativa e nella responsabilità individuali e nella completa cooperazione dei gruppi composti di liberi individui. I governi sono l’opposto di questi ideali, dato che si fondano sulla forza bruta e la frode deliberata per imporre il controllo dei pochi sui molti. Che questo processo crudele e fraudolento sia giustificato da concetti come il diritto divino, elezioni democratiche, o un governo rivoluzionario del popolo conta poco per gli Anarchici. Noi rigettiamo l’intero concetto stesso di governo e ci affidiamo in modo radicale alla capacità di risoluzione dei problemi propria di ogni uomo libero.

Perchè la bandiera nera? Il nero è il colore della negazione. La bandiera nera è la negazione di tutte le bandiere. È la negazione dell’idea di nazione che mette la razza umana contro se stessa e nega l’unità di tutta l’umanità. Il colore nero è il colore del sentimento di rabbia e indignazione nei confronti di tutti i crimini compiuti nel nome dell’appartenenza allo stato. È la rabbia e l’indignazione contro l’insulto all’intelligenza umana insito nelle pretese, ipocrisie e bassi sotterfugi dei governi…

Il nero è anche il colore del lutto; la bandiera nera che cancella le nazioni è anche simbolo di lutto per le loro vittime, i milioni assassinati nelle guerre, esterne ed interne, a maggior gloria e stabilità di qualche maledetto stato. È a lutto per quei milioni il cui lavoro è derubato (tassato) per pagare le stragi e l’oppressione di altri esseri umani. È a lutto non solo per la morte del corpo, ma anche per l’annullamento dello spirito sotto sistemi autoritari e gerarchici. È a lutto per i milioni di cellule grigie spente senza dar loro la possibilità di illuminare il mondo. È il colore di una tristezza inconsolabile… Ma il nero è anche meraviglioso. È il colore della determinazione, della risoluzione, della forza, un colore che definisce e chiarifica tutti gli altri. Il colore nero è il mistero che circonda la germinazione, la fertilità, il suolo fertile che nutre nuova vita che continuamente si evolve, rinnova, rinfresca, e si riproduce nel buio. Il seme nascosto nella terra, lo strano viaggio dello sperma, la crescita segreta dell’embrione nel grembo materno – il colore nero circonda e protegge tutte queste cose…

Così il colore nero è negazione, rabbia, indignazione, lutto, bellezza, speranza, è il nutrimento e il riparo per nuove forme di vita e di relazioni sulla e con la terra. La bandiera nera significa tutte queste cose. Noi siamo orgogliosi di portarla, addolorati di doverlo fare, e speriamo nel giorno nel quale questo simbolo non sarà più necessario.

 

Come i pirati

Risalendo ad epoche più remote, alla ricerca di analogie, troviamo i pirati con la loro bandiera nera, il Jolly Roger, ma talvolta pure rossa, ornata da un teschio e due tibie (o due sciabole) incrociate, usata per atterrire e indurre alla resa gli equipaggi.

Successivamente, altri gruppi e altri contesti si sono appropriati della bandiera nera – sovente col teschio – in momenti diversi della storia, soprattutto in tempo di guerra, perseguendo altre ideologie del tutto estranee all’anarchismo, quali ambiti militari, formazioni nazionaliste e di estrema destra.

Sul fronte opposto, la bandiera piratesca è stata ripresa da movimenti d’opposizione, anti-legalitari, come quello contemporaneo delle occupazioni di case, spazi sociali e Taz (zone temporaneamente autonome); nonché dagli hacker che, non casualmente, sono definiti pirati informatici.

Così, l’abbinamento bandiere nere-vessilli pirata è da tempo frequente, comunque associato alla critica radicale, nelle più diverse situazioni.

Va peraltro osservato che la bandiera rossa e nera, originariamente legata solo all’anarco-sindacalismo, non sembra oggi avere più un modello unico di riferimento.

Dipende dalle esperienze collettive e dalle scelte individuali, se il rosso è collocato trasversalmente sopra il nero o viceversa, sia dalla parte dell’asta o in quella opposta. Alcune realtà hanno formalizzato l’uso del vessillo bicolore in una delle sue combinazioni, ma appare sempre più un dettaglio non essenziale, mentre sono fiorite le varianti verde-nero (anarcoecologista), fuxia-nero (antisessista), viola-nero (anarcofemminista).

La bandiera anarchica resta soprattutto un pezzo di stoffa che serve a radunare e riconoscere compagni e compagne in piazza. Aldilà di ogni legame affettivo e identitario, rimane uno strumento pratico, caratterizzante, visibile da lontano, che si dispiega e si ripone quando non serve più; d’altronde Max Stirner avvertiva: Io troverò sempre dei compagni che si uniranno a me senza prestare giuramento alla mia bandiera.

 

La A cerchiata

Se in passato il simbolo anarchico più diffuso era stato la fiaccola, richiamante la luce del sapere contro l’oscurantismo, l’A cerchiata è ormai da mezzo secolo quello più conosciuto, nelle sue innumerevoli varianti, associato alle diverse pratiche libertarie.

Riguardo alla sua origine circolano vari miti, ma dovrebbe risalire all’aprile 1964 quando il «Bulletin des Jeunes Libertaires» di Parigi pubblica un articolo che propone un simbolo comune per il movimento:

 

Ci hanno guidato due motivazioni principali: prima di tutto facilitare e rendere più efficace le attività pratiche di scritte sui muri e di attacchinaggio, poi assicurare una presenza più vasta del movimento anarchico agli occhi della gente, grazie a un tratto comune a tutte le espressioni dell’anarchia nelle manifestazioni pubbliche. Più precisamente, si tratta per noi di trovare, da una parte, un mezzo per ridurre al minimo i tempi per le scritte murali, evitando di mettere una firma troppo lunga alle parole d’ordine, dall’altra di scegliere una sigla abbastanza generica, che possa essere adottata e utilizzata da tutti gli anarchici. La sigla scelta ci è sembrata rispondere al meglio a questi criteri. Associandola costantemente alla parola anarchica, finirà, grazie a un meccanismo mentale ben noto, a richiamare da sola l’idea dell’anarchia nello spirito della gente.

 

La sigla proposta è una A maiuscola inscritta in un cerchio. Tomás Ibañez ne è l’ideatore e René Darras il realizzatore. L’idea sembra nascere da una parte dal metodo di stampa a ciclostile dell’epoca, che comportava una realizzazione semplice, e dall’altra parte richiama il noto simbolo pacifista adottato dalla Campaign for Nuclear Disarmement.

Nel dicembre di quell’anno la A cerchiata appare nel titolo di un articolo firmato Tomás (Ibañez), sul giornale «Action Libertaire», poi scompare per un po’ dalla circolazione.
In effetti il simbolo ebbe inizialmente poco successo, facendo solo qualche comparsa sui graffiti del metrò parigino. Alla metà degli anni Sessanta la rete dei Jeunes Libertaires s’indebolisce e questa è forse una delle possibili spiegazioni. Il loro bollettino interromperà le pubblicazioni e la sigla sarà momentaneamente dimenticata sino al risveglio del movimento nel 1968.

La A cerchiata compare in Italia nel 1966, prima a titolo sperimentale, poi in modo più regolare, grazie alla Gioventù Libertaria di Milano, che aveva buoni rapporti con i giovani parigini. A Milano la sigla serve allora da firma dei giovani anarchici italiani. Viene usata sui volantini e i manifesti, talvolta insieme al simbolo pacifista-antinucleare e alla “mela” dei Provos olandesi. Si vedono ancora poche A cerchiate sino al 1968, ma nel 1972-73 la sigla si diffonde largamente grazie ai giovani libertari di tutto il mondo.

Anche l’Alliance Ouvrière Anarchiste ha rivendicato l’introduzione del simbolo, sostenendo di averlo utilizzato nella corrispondenza dalla fine degli anni Cinquanta; tuttavia, i primi esemplari si possono riscontrare sui bollettini dell’AOA solo dopo il giugno 1968.

In Italia la sua diffusione, favorita anche dalla testata di «A-Rivista anarchica» è stata rapida, sovrapponendosi sempre più frequentemente alla bandiere nere e rosso-nere e conoscendo numerose interpretazioni, soprattutto sull’onda della grafica punx e squatter.

Interessante notare come, in molti casi, l’A iniziale di autogestione comincia ad essere cerchiata, in una sorta di assimilazione semantica.

Di fatto, questo semplice simbolo grafico ha saputo approfittare del nuovo mezzo d’espressione rappresentato dalle scritte murali tracciate con lo spray, e la sua semplicità ne ha permesso un’esplosione globale: un successo imprevisto, plagiato e sfruttato anche come logo commerciale tanto che, se qualcuno avesse brevettato la A cerchiata, oggi potrebbe esigere diritti miliardari; ma, come è noto, non si può parlare di libertà (quella con l’accento sulla A!) senza rifiutare la proprietà privata.