RAZZISMO DI STATO E RAZZISMO POPOLARE

Come si suol dire “a bocce ferme”, qualche considerazione inattuale sull’aumento del consenso razzista alla Lega Nord, vale la pena spenderla.

Razzismo di Stato
I risultati numerici delle ultime regionali dicono che la Lega Nord è stato l’unico partito ad aumentare i propri voti: +402.584 rispetto a quelli delle elezioni politiche (2013) e +256.803 rispetto alle Europee. Altro dato: il partito di Salvini ha riportato buone affermazioni soprattutto nelle regioni “rosse”, aree in cui in precedenza era assai meno forte. In particolare, dal 2014 a oggi i consensi in Toscana e Umbria appaiono triplicati, nelle Marche raddoppiati. L’unica contrazione rispetto al 2014 (-9,7%) si è registrata nel Veneto, dove però, c’è stato l’effetto catalizzatore della lista “del presidente” collegata a Zaia, beneficiato soprattutto per la sua “identità” veneta più gradita in una regione sempre assai poco legata alla direzione “lumbard” della Lega.

In Francia qualcosa di analogo si era già visto con l’ascesa del Front National, ma a fronte di questi dati, a sinistra, si sono spese molte analisi, tutte comunque accomunate dal tentativo di “ridimensionare” il fenomeno leghista; sottovalutando tra l’altro – evidenza non secondaria – che ad essere premiata è stata la Lega peggiore: quella che ormai ha completamente soppiantato col razzismo le tematiche politiche che, pur approssimativamente, in passato aveva portato avanti (federalismo, secessione, devolution, etc), al punto da non avere più problemi a rivendicare parole d’ordine nazionaliste e tricolorate come “Prima gli Italiani!”.
La prima tesi è che si sarebbe trattato di un “effetto mediatico”, ossia dovuto alla sovraesposizione televisiva di un personaggio come Salvini, segretario fino a poco tempo fa ritenuto del tutto insignificante. Sicuramente, la sua costruzione a tavolino – come opportunamente sottolineato da Wu Ming – è stata un capolavoro: da un momento all’altro “Salvini” è apparso nei giornali e nelle tv – e non ne è mai più uscito – interpretando il ruolo di un leader del centrodestra su misura per far galleggiare Renzi ancora per un po’, cannibalizzando i resti di Forza Italia. D’altronde la funzione è stata ammessa dalla stesso Renzi quando ha detto: “Fuori dal Pd l’alternativa è Salvini e il centrodestra”, confermando quanto torni utile l’esistenza dell’altro Matteo con la felpa, ottimo alibi per motivare provvedimenti governativi anti-immigrazione.
Detto questo, però, ridurre semplicemente la sua “rappresentatività” in considerevoli settori dell’elettorato – anche in regioni e città tradizionalmente “di sinistra” e in quartieri a composizione popolare – ad una questione pubblicitaria appare francamente elusivo. Così come lo è sostenere che nel serbatoio leghista sarebbero confluiti “soltanto” voti di destra, centrodestra ed estrema destra che in passato avevano scelto altri simboli, non escluso quello del Movimento 5 Stelle.
Tali teorie non convincono, soprattutto se si ascolta la famosa “narrazione” che prevale per strada, sui bus, nei negozi, nei treni e, purtroppo, sui posti di lavoro attorno alla cosiddetta “emergenza” immigrati o, peggio ancora, al “problema” rom.
Luoghi comuni xenofobi; dicerie come quella dei 35 (o 40, 50, 70…) euro al giorno regalati ad ogni immigrato; pregiudizi e stereotipi razziali; infondate asserzioni sul presunto furto di case, lavoro, asili, etc. da parte dei “non italiani”; cinismo astioso che, in rete, esulta persino sui bambini morti se “negri” o “zingari”: è una melma che sale e non soltanto dalle fogne nazifasciste.
Una melma trasversale ai partiti, sicuramente non confluita unicamente nel voto alla Lega o ai Fratelli della Meloni e che, come ogni inquinamento culturale ed etico, è destinato a permanere pure dopo una sua futura flessione.
Di fronte a tale allarmante sintomatologia si preferisce glissare, pure in contesti di movimento nominalmente “anticapitalisti”, magari nella convinzione che il razzismo sia solo di stato oppure il riflesso delle politiche discriminatorie di un governo, una conseguenza fisiologica della crisi o finanche la conferma delle analisi marxiste delle contraddizioni frutto dell’esistenza del famoso “esercito industriale di riserva”, rimandando quindi all’avvenire la risoluzione di un problema ritenuto “sovrastrutturale”.
Altri ancora, ancor più opportunisticamente, pur consci che le pulsioni razziste nei settori popolari sono in crescita, non ritengono conveniente affrontarlo direttamente, in quanto sarebbe troppo difficile e, appunto, risulterebbe impopolare; per cui, si fa finta di non sentire, e magari si arriva a compiacere atteggiamenti individuali e collettivi che dovrebbero invece trovare subito un argine, in quanto tale deresponsabilizzazione e condiscendenza sono un boomerang ad alta pericolosità per i percorsi di lotta, emancipazione e solidarietà di classe.
Sovente, alla base di certi arretramenti e rimozioni, vi è la convinzione idealistica attorno ad un proletariato di per sé immune all’ideologia razzista e ai veleni della discriminazione (compresa quella sessista); purtroppo, così non è mai stato.
Basti ricordare i linciaggi, veri riti pubblici di odio razziale per cementare le comunità, di cui fecero le spese centinaia di immigrati italiani negli Stati Uniti, a cavallo tra Ottocento e Novecento, o la strage di Aigues-Mortes nel 1893 quando una folla di operai e disoccupati francesi massacrò almeno una decina di italiani (17 i dispersi) che lavoravano nelle saline: un eccidio durante cui comparvero tra gli aggressori anche bandiere e parole d’ordine “rivoluzionarie”. Ma, anche, ricordando un po’ la storia italiana, l’impietoso razzismo degli operai settentrionali nei confronti dei meridionali, dei “terroni”, che giungevano nei centri industriali del Nord negli anni Sessanta, in un periodo quindi non di crisi ma di boom economico.
Purtroppo, il nazionalismo (magari a partire dalla difesa del Made in Italy) in questi decenni ha fatto molti danni, penetrando anche nella classe lavoratrice e producendo nefaste contrapposizioni tra salariati “autoctoni” e “stranieri”, per non parlare nel vero e proprio odio che colpisce gli ultimi tra gli ultimi, ossia rom e sinti che sono talvolta costretti a nascondere la propria appartenenza nei luoghi di lavoro. Nei loro confronti agisce una miscela particolarmente venefica che, assieme al rifiuto etnico, somma l’avversione produttivista nei confronti di chi non ama il lavoro salariato (e lo sfruttamento), già elemento centrale dell’ideologia staliniana non meno di quella capitalista.
Riconoscere quindi il razzismo e combatterlo anche in seno alle classi popolari diventa quindi elemento centrale del conflitto contro il dominio: la sua coniugazione con la rivendicazione dell’uguaglianza e della libertà non è rinviabile ad un altro tempo, non tanto per scongiurare perdite di voti a sinistra, ma per disinnescare ulteriori guerre tra poveri.
I nemici di altri sfruttati sono a tutti gli effetti nemici dell’umanità e, su tale confine, si definisce ancora la differenza tra asservimento e consapevolezza di classe.

Osservatorio anti-discriminazioni

ANTIGITANISMO ELETTORALE

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Anche quest’anno il rapporto di Amnesty International 2014-15 riguardante l’Italia non può fare a meno di indicare tra gli aspetti più critici la perdurante discriminazione nei confronti dei Rom, soprattutto per quanto riguarda le condizioni precarie di vita nei campi e nei centri dove sono segregati, nonché i continui sgomberi forzati operati dalle forze dell’ordine senza alcuna alternativa abitativa.

I report della nota associazione per i diritti umani, come è noto, si fondano su rilevazioni e registrano in termini generali le violazioni documentate denunciando le inadempienze legislative da parte di governi e istituzioni; per cui, apparentemente, si è portati a ritenere che niente sia mutato, né in peggio né in meglio, rispetto allo scorso anno.

Si tratta però una percezione errata e chiunque ha modo di occuparsi o fare attenzione a quanto sta avvenendo, sa che la realtà è andata notevolmente peggiorando, non solo perché l’attuale governo con il suo ministero dell’Interno continua a trattare quello che definisce come il “problema” dei Rom alla stregua di una minaccia all’ordine pubblico, ma in quanto è ormai tangibile la crescita degli atteggiamenti intolleranti e aggressivi contro questa esigua minoranza, additata come la causa di tutti i mali esistenti e persino immaginari che travagliano il vivere quotidiano delle persone non-rom.

Basta sentire le gratuite affermazioni colme d’odio seminate nei luoghi pubblici o leggere i commenti che appaiono sui giornali o sui social network, per cogliere le premesse ad ogni possibile baratro dell’intelligenza e dell’umanità. Anche se non fece notizia, l’episodio avvenuto nell’ottobre 2013 a Napoli quando una donna, gettò intenzionalmente dal balcone di casa dell’acido muriatico, deturpando in modo permanete il viso di un bambino rom di due anni che si trovava in strada con la mamma, resta la prova di quali danni produce questo clima in cui chiunque si sente autorizzato a trasformarsi in aguzzino.

D’altronde, la quasi totalità dei politici e dei giornalisti sfruttano e alimentano tale psicosi perché così si guadagnano voti, lettori ed accessi. Basti ricordare il post “I rom sono da termovalorizzare”, per il quale nello scorso novembre tale Cristiano Zuliani, sindaco leghista di Concamarise (Vr), aveva guadagnato l’onore delle cronache senza che nessuno si sentisse in dovere di mettere in discussione la sua carica istituzionale.

Come ha scritto Francesca Saudino (www.osservazione.org): “Se rispetto all’antisemitismo siamo ormai sensibili e abbiamo gli anticorpi, rispetto all’antiziganismo siamo ancora accecati e siamo portati a derogare sistematicamente a una visione egualitaria che offra ai rom le stesse possibilità degli altri. Ciò avviene, principalmente, perché offrire ai rom pari opportunità non conviene per il consenso elettorale”.

D’altronde, in un contesto in cui i poteri e i ceti politici sono costantemente sotto accusa per furti legali, reati di mafia e saccheggio di beni pubblici, al punto che la “cleptocrazia” è ormai sistema di governo, non c’è niente di meglio che indirizzare l’indignazione popolare contro la micro-criminalità, esclusivamente ed impunemente attribuita alle comunità Rom e Sinti.

Da sottolineare l’atteggiamento della Lega Nord che ormai ha individuato gli “zingari” come principale bersaglio delle sue campagne isterico-demagogiche, utili anche per far dimenticare ai propri elettori ed iscritti le ruberie compiute per decenni dai vertici dello stesso partito padano, a partire dal clan di Bossi.

Non di meno, l’estrema destra ha buon gioco a soffiare sull’odio contro rom ed immigrati, dopo che a Roma è saltato il coperchio di quella pentola criminale che vedeva noti fascisti arricchirsi indebitamente grazie agli appalti per campi nomadi, centri d’accoglienza per i profughi ed emergenza abitativa.

E alle operazioni di polizia, alle distruzioni dei campi compiute col fuoco o le ruspe, alle deportazioni senza alcun riguardo neppure per i bambini, ultimamente si registra la facilità con cui lo “sparare allo zingaro” non è più espressione figurata, ma diviene opzione sempre più frequente, seppure con killer diversi.

Ad iniziare fu la banda della Uno Bianca: era il 23 dicembre del 1990 – due sinti emiliani restarono uccisi e due rom rimasero feriti dai colpi sparati contro il campo sosta in via Gobetti a Bologna. Le vittime si chiamavano Rodolfo Bellinati, 27 anni e Patrizia Della Santina di 34 anni, mentre rimasero ferite gravemente una bambina e una Romnì slava. Alcuni anni dopo, nel 2004, un commando di camorristi uccise come rappresaglia (per un furto nella casa di un boss) due rom estranei al fatto – Mirko e Goran Radosavljevic. – presso il campo di Secondigliano a Napoli.

Invece, nello scorso febbraio, tra le province di Cremona e Bergamo, in uno spiazzo vicino al Naviglio, di ritorno da una festa notturna di carnevale, è stato un disoccupato, ex-parà, a sparare con una pistola di grosso calibro senza alcun motivo – se non il dichiarato razzismo – contro due camper dove abitava in miseria una famiglia rom, uccidendo Roberto Pantic, 43 anni, padre di dieci figli.

Ma una pistola è comparsa pure recentemente in mano ad un pubblico ufficiale a Roma, nel corso di un’insensata operazione di polizia presso il centro di accoglienza di La Rustica, appena distrutto da un incendio di probabile natura dolosa, quando agenti della Polizia municipale sono intervenuti malamente, utilizzando anche spray urticante, contro un gruppo di rom, composto perlopiù da donne e bambini che, dopo aver passato la notte all’addiaccio, aveva reagito alla prepotenza in divisa.

 

Osservatorio anti-discriminazioni