GIU’ LE MANI DA MARIA!

Da giorni in Italia è in atto l’ennesima, preoccupante, campagna di odio antizigano, fomentato ad arte da trasmissioni sedicenti “di servizio pubblico”, rotocalchi di intrattenimento, telegiornali, quotidiani… Sappiamo che quando parliamo di rom, in questo paese che impedisce ai superstiti dei naufragi di Lampedusa di partecipare ai funerali, lo stato d’animo non è neutro. Questa non è una sensazione, ma una consapevolezza accertabile attraverso la frequentazione delle associazioni di solidarietà con le comunità romanés, la conoscenza e l’informazione attraverso le pubblicazioni, i testi di ricerca, le statistiche delle condizioni drammatiche nelle quali le famiglie rom sono costrette a sopravvivere a causa delle politiche istituzionali locali e nazionali, con la complicità di un razzismo popolare forse senza precedenti. Chi pretende di informare, chi si assume l’onore di fare informazione in Italia ha il doppio onere di essere informato e di trasmettere correttamente le notizie, senza allusioni o esplicite affermazioni di razzismo. E’ stato sostenuto, in una trasmissione televisiva della tv di Stato, che la bambina sarebbe stata rapita da un network di trafficking di minori con sede in Bulgaria, e che sarebbe stata successivamente comprata dalla famiglia rom per “purificare la razza” della comunità romanés. Spesso vediamo, nell’ “altro” da “noi”, lo specchio di ciò che siamo… Niente di quanto è stato sostenuto, con la presunzione e la certezza della Verità granitica, ha ancora alcun fondamento. Un’ipotesi come un’altra, ma che sembra “pesare” più di altre, scartate a priori. L’immagine di Maria e l’utilizzo del suo corpo mediatizzato e strumentalizzato secondo costruzioni comunicative che alludono, spingono a prendere parte, a parteggiare per i bravi (la polizia che l’ha “salvata” dagli “aguzzini”) contro i cattivi (la famiglia rom), denota il contrario della sensibilità dovuta in presenza della salvaguardia di un minore: le foto contrapposte della piccola con i capelli arruffati e le treccine più scure del biondo dei capelli e le manine sporche, contrapposta a quella della bambina “ripulita” dei segni del suo passato “vergognoso”, con il vestitino nuovo e i capelli completamente biondi, al sicuro nell’associazione di affidamento, quasi a voler “smacchiare” una colpa. E’ forse una colpa essere poveri? No, non lo è. E’ una condizione sociale, non una condizione dello “spirito”, né ontologica, né tantomeno “innata”, proprio come la razzista equazione che sta nuovamente passando con ciò che è conosciuto per “linea del colore”: una piccola bionda non può essere figlia di genitori rom. E’ talmente “normale” l’orrore della “razza” che in questi giorni stanno moltiplicandosi, in Europa, massicci controlli nei confronti di famiglie rom con minori “bianchi”. Qualcuno ha forse pensato, riflettuto sul fatto che questi controlli non sono affatto “normali”, né basati su alcunchè di scientifico? Al contrario, a seguito dell’oggettivazione del corpo di Maria – il corpo del reato – cresce l’accanimento poliziesco e razziale verso una minoranza vittima di molti olocausti, piccoli e grandi, nella storia passata e recente di una rilevante parte del mondo. Questo è l’orrore, questo ritorno del passato con gli abiti ipocriti di chi dice di voler tutelare i diritti dei più deboli, sbattendo i mostri in prima pagina: le foto di fronte e di profilo dei due rom del campo greco sulle televisioni pubbliche italiane. Foto terribilmente simili a quelle dei perseguitati del Casellario Politico fascista e dei reclusi nei campi di sterminio nazisti: in entrambi questi elenchi dell’abominio troverete volti di donne e uomini rom. Colpevoli di vivere secondo regole non scritte, colpevoli di essere poveri e di vivere in “discariche” a cielo aperto: non-luoghi nei quali le istituzioni nazionali li costringono a vivere, senza assistenza e lontani dal centro delle città, in periferie abbandonate e prive di mezzi di trasporto. I rom hanno molti doveri per lo Stato italiano, ma nessun diritto. Sono in maggioranza italiani, ma sono trattati peggio che se fossero stranieri. Sappiamo che la costruzione dell’immaginario passa attraverso i corpi, e attraverso le modalità con le quali alcuni corpi contano più di altri, e vengono “raccontati” con differenti “marcature”. Così la cameretta di Maria, in ordine, pulita e ben arredata, è elemento di sospetto in una famiglia poverissima. In un mondo colmo di pregiudizi, questo è ciò che il nostro “sguardo” vuol vedere. Così la giovane e coraggiosa Leonarda, pronta a percorrere la propria strada di autodeterminazione in Francia anche contro le violenze subite in famiglia, viene obbligata a scegliere tra ciò che è ritenuta essere la “sua razza” (la sua famiglia romanés, espulsa in Kosovo) e il cosiddetto diritto/dovere di studio, magari per diventare “una brava francese”. E magari per vergognarsi, in futuro, di avere genitori “rom”. Si parla tanto di aiutare le donne a denunciare chi le stupra e molesta: lo Stato francese si è reso complice della violenza contro Leonarda, spingendola a ritrattare le precedenti accuse verso il padre, a causa dell’attacco del governo francese contro la sua famiglia. Ma l’utilizzo del sessismo per politiche razziste e del razzismo per attacchi sessisti, noi, lo sappiamo riconoscere. Noi sappiamo da che parte stare. La piccola Maria non è figlia “biologica” di chi l’ha comunque accolta e nutrita, pur in povertà. I motivi per i quali la bambina è cresciuta in quella famiglia rom possono essere tantissimi. La tv di Stato e quella privata hanno già decretato il verdetto. Noi stiamo con Maria, con Leonarda e con il popolo rom.

Osservatorio antidiscriminazioni

GIORNALISMO DA ULTIMA SPIAGGIA

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Considerando ormai “fuori gara” i cronisti filo-Tav de «La Stampa», tra le innumerevoli prove di quanto il giornalismo asservito può scendere in basso, quest’estate merita senz’altro una citazione l’articolo comparso alla vigilia di Ferragosto su «Il Giornale» dal titolo “Dalla Tav al Salento il «popolo del No» non va mai in ferie”, a firma di Nadia Muratore, giornalista con un curriculum davvero degno di nota: da collaboratrice di «Polizia moderna» a responsabile dell’ufficio stampa dell’ex ministro Calderoli.
Francamente, va riconosciuto che è difficile concentrare in così poco spazio tante banalità, ben oltre le frontiere del ridicolo, senza alcun altro scopo che cercare di gettare discredito su “l’ultima moda degli antagonisti” che, accipicchia, “paralizzano la crescita”.
L’apertura dell’articolo è classicamente ispirata al paternalismo e deve molto, in fatto di astio e categorie, sia a quel genio di Brunetta (per quanto riguarda gli studenti) che a Grillo (per le accuse verso i pensionati e i pubblici dipendenti).
La tiritera è talmente campata in aria da far arrossire, ma vale la pena riprenderla. Da chi è dunque composto questo “popolo del Non fare”? Risposta: da “Studenti fuori corso – per lo più bamboccioni – impiegati frustrati (…) e pensionati nostalgici”.
A seguire, la “giornalista” cuneese cerca di colpevolizzare e dileggiare comportamenti che qualsiasi persona di buon senso non troverebbe affatto riprovevoli: “arrampicarsi sui tralicci dell’alta tensione, rischiando anche la vita per il proprio ideale” o scegliere di partecipare ad un campeggio di lotta, piuttosto che sprecare le proprie ferie su qualche affollata spiaggia adriatica.
E per cercare di togliere valore etico a queste scelte, la Muratore giunge a insinuare che chi sale su un traliccio lo fa per le telecamere e, quindi, per mero esibizionismo.  Eppure è abbastanza ovvio che simili forme di protesta servono certo ad attirare l’attenzione dei media, ma non su chi le compie, ma bensì sulle ragioni di chi si oppone, e se prima di scrivere simile sciocchezze, la signora si fosse presa la briga di intervistare quei “pirla” di Luca Abbà e Turi Vaccaro, magari avrebbe imparato qualcosa sull’azione non-violenta.
Chissà, forse, le sono bastate le fondamentali lezioni di Bossi sui metodi gandhiani…
A conferma, peraltro, del povertà dei suoi argomenti, cerca pure di scovare presunte contraddizioni nel comportamento di questi bambini capricciosi; impareggiabile l’accusa di soggiornare in tenda in Valsusa d’estate invece che… “d’inverno, quando nevica”(!). E, per far apparire ancora più tremendi questi campeggiatori arriva a scrivere che giungono “con le pietre e le molotov nel sacco a pelo”(!!).
D’altronde, una giornalista che pretende di scrivere di Tav, confondendo l’Alta velocità con l’Alta tecnologia, si commenta da sola.
Eppure, andando oltre le abusate argomentazioni da sindrome Nimby (termine che però forse non conosce), costei qualche spunto di riflessione sulle ragioni di tanti “No” potrebbe trovarlo con facilità pure in rete. Ad esempio, ha mai sentito dire che a Chiomonte la costruzione del cantiere Tav ha già causato l’abbattimento di oltre 5 mila alberi e la rovina del sito archeologico? Conosce la documentazione sulle conseguenze per la salute delle emissioni elettromagnetiche del sistema di comunicazioni Muos? Casualmente, ha saputo che anche il contestato rigassificatore off-shore nel mare di Livorno comporterà per gli utenti un aumento della bolletta da pagare? Per caso, infine, è mai stata colta dal dubbio che lo stato di polizia e il dramma del carcere esistono non solo per il padrone del giornale su cui scrive?
Ma è probabile che dietro le “verità assolute” di questa dispensatrice di malafede, mai vista sorridere, ci sia un’inconfessabile isteria indotta dal vedere che migliaia di persone continuano a pensare, muoversi e resistere, fuori dal controllo dei partiti e contro i governi della devastazione e del saccheggio ambientale.
Tanto vale allora rassegnarsi, magari tornando ai reportage sul Palio delle galline.
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