La vittoria sarà di coloro che avranno saputo creare del disordine senza amarlo.
(G. Debord)
Svariate analogie o differenze si possono trovare guardando ad altre insorgenze (Brixton 1981, Los Angeles 1992, Parigi 2005), comunque nessuna analisi – politica, economica, sociologica – appare di per sé sufficiente a spiegare questa ennesima radicale rottura.
In un riot c’è sempre di tutto: disperazione e spasso, ribellione sociale e insofferenza esistenziale, rivendicazione di diritti negati e nichilismo, protesta politica e illegalità comune, dinamiche di liberazione ed episodi di sopraffazione…
Se si eccettua l’incendio della Sony e il saccheggio di qualche negozio di lusso, per lo più le devastazioni riguardano gli stessi quartieri popolari dove abitano i protagonisti, al punto da far pensare più ad un’implosione piuttosto che ad un’esplosione. Si brucia l’auto del vicino di casa o si depreda il negozietto miserabile dietro l’angolo, mentre la City o Downing Street sono intoccate.
Come per le banlieue, la polizia s’impegna solo a ghettizzare le fiamme della rivolta, aspettando che si consumino dentro i suoi confini, lontano dai centri del potere.
Difficile per gli apparati di disinformazione ridurre il tutto a conflitto razziale, quando più colori e lineamenti si intravedono così chiaramente sotto fazzoletti e cappucci; ma problematico anche individuare un’unica appartenenza di classe e anche trovarvi una precisa logica antagonista: “Non c’è stato alcun ovvio bersaglio politico o istituzionale: niente multinazionali, niente banche, non il governo, nemmeno la polizia” (Bill Emmott, La Stampa 10 agosto).
La crisi economica, la miseria, la disoccupazione, il taglio selvaggio del welfare, il crollo del mito della Big Society… certo, ma non solo. “Ci sono persone che non si sentono parte delle comunità in cui vivono. Vedono i negozi, le librerie e gli uffici come qualcosa che non gli appartiene, come un qualcosa di alieno. Sono tecnologicamente super-integrati ma emarginati dal punto di vista sociale. Una volta che si ha un evento-detonatore le cose precipitano, si muovono molto velocemente. Come uno stormo d’uccelli. Ogni individuo segue il comportamento del suo vicino di destra o di sinistra. Quello che stiamo vedendo per le strade di Londra non è un comportamento di gruppo che segue logiche tradizionali ma un atteggiamento che definirei elettronico, virtuale. Ecco perché gli stessi incidenti si replicano in modo identico in diverse parti della capitale e in altre città del Paese” (Rodney Barker, prof. della London School of Economics, intervista dell’Ansa).
D’altronde il tasso di disoccupazione britannica non è neppure dei peggiori: 7,7 % (rispetto all’8% in Italia, al 9,5% in Francia, al 9,2% negli Usa).
I benpensanti, senza volerlo, dicono la verità: “E’ tutto senza senso”. In Inghilterra e non solo, infatti, alla proletarizzazione e alla pauperizzazione crescenti si somma anche la perdita di senso non solo nella società del capitale ma persino nell’opposizione ad essa.
Sempre meglio i riot della pace sociale, viene spontaneo affermare; ma è necessario anche chiedersi se i disordini che si stanno sviluppando ovunque non stiano svolgendo la funzione di valvola di sicurezza proprio della pace sociale. Così come un tempo, ben vengano gli assalti ai forni se servono a scongiurare quelli ai palazzi: la grande borghesia non ha certo scrupoli morali a sacrificare la proprietà privata spicciola, dando i piccoli borghesi in pasto ai miserabili.
E chissà che risate si fanno i padroni di tutto, vedendo magari un ragazzo rischiare la galera per rubare un cellulare attraverso una vetrina infranta: domani sarà comunque un loro cliente. Per di più, sotto controllo.
Etciù Danke
Alcuni approfondimenti: Solidarity Federation – British Section of the International Workers Association