GRILLO SOCCORRE LO STATO

I recenti risultati elettorali in Sicilia, oltre a evidenziare l’impressionante astensionismo (oltre il 52%) che in un certo senso rappresenta non solo il primo “partito” ma anche la maggioranza dell’elettorato, ha offerto la possibilità di smascherare l’effettivo ruolo giocato dal Movimento 5 stelle: il partito di Grillo ha, a tutti gli effetti, salvato il sistema dei partiti.

Se, infatti, quel 15% di votanti avesse scelto di esprimere al propria protesta contro la partitocrazia disertando le urne, invece che delegandola al candidato-grillino, l’impatto dello “sciopero del voto” sarebbe stato ancora più dirompente, sfiorando complessivamente il 70%.

Per questo all’indomani della disfatta dei partiti parlamentari e della stampa, l’atteggiamento è apparso trasversalmente alquanto bonario nei confronti di Grillo e soci, archiviando le accuse che nei mesi scorsi erano andate per la maggiore dall’antipolitica al populismo, dal qualunquismo allo squadrismo.

Nel momento in cui la separazione tra società e stato diventa così palese e pesante e “il voto di chi non vota” finisce per assumere una valenza di radicale rottura col sistema politico-economico e, di conseguenza, nei confronti dei partiti della crisi, dell’unità nazionale, del ceto politicante e governativo che questo esprime, anche l’esistenza di un sedicente “antipartito” come quello a 5 stelle diventa prezioso, perché come ha pure sottolineato Ilvo Diamanti (La Repubblica, 30 ottobre) “si tratta, comunque, di un’alternativa al non-voto”.

Anche se può apparire come l’ultima spiaggia per le illusioni di milioni di scontenti, delusi, incazzati, estremisti da bar e rivoluzionari a parole, votare per qualcuno che si candida con un partito “alternativo” a rappresentare, indirizzare ed utilizzare il dissenso popolare per ottenere nei posti di potere, dalle amministrazioni locali al governo nazionale, è pur sempre una dimostrazione di fiducia nella possibilità di riformare e non certo di sovvertire quell’apparato di dominio che si dice di avversare.

Per di più è ben noto come chi entra, criticamente, nelle istituzioni per trasformarle, in breve tempo finisce per essere trasformato, divenendo a sua volta parte integrante dell’apparato che diceva di voler cambiare o mettere sottosopra, tanto da introiettare il punto di vista e le compatibilità di chi comanda, governa, decide sulla testa di quei “sudditi” ai quali non viene mai riconosciuto il diritto né la capacità di autogovernarsi senza farsi Stato.

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Questa è la storia?

Io continuo ad avere la mia macchina, il mio autista, il mio elicottero e la mia villa…tutto uguale e loro non ce l’hanno un lavoro…punto…questa è la storia

(Antonangelo Liori, manager di Agile, parlando dei lavoratori di Eutelia gettati sul lastrico)

 

Pure in quest’ultima spiaggia d’agosto, a sinistra si guarda attoniti la marea che sale. 

I più avvertiti si rendono conto che ci stanno massacrando con una manovra economica ben peggiore di quella greca, ma i mandanti risultano evanescenti.

Per la maggioranza governativa è una crisi mondiale imprevista (?!) causata dalla globalizzazione, per i leghisti c’è la mano della massoneria e della burocrazia (di cui sono parte), secondo il centro-sinistra la colpa è dell’incapace governo Berlusconi, per i giornali qualunquisti dei privilegi della casta politica mentre quelli populisti additano le banche e gli speculatori in Borsa. C’è persino chi sostiene che tutto è determinato dalle tempeste solari.

Dei padroni e del sistema capitalista, invece, non si parla mai: discorsi vecchi, da marxisti o, peggio, da anarchici.

La presidente di Confindustria Marcegaglia è così divenuta l’apprezzata portavoce del “mondo produttivo” e delle “parti sociali” (Cgil compresa!).

D’altra parte, un anno fa, mentre gli economisti non asserviti al capitale, già prospettavano l’attuale crack lopposizione antiberlusconiana era ipnotizzata dallo scandalismo attorno al caso Ruby (vera arma di distrazione di massa) e si perdeva nelle piazze giustizialiste.

Ora tutt’al più ci si indigna per gli stipendi e i privilegi dei parlamentari (davvero una miseria rispetto ai “normali” profitti della classe padronale), oppure con il cinismo dei finanzieri e dei banchieri che strangolerebbero ugualmente i ceti produttivi (vecchia formula interclassista -già usata da Mussolini- per unire sfruttati e sfruttatori).

Smarrita ogni bussola di classe, s’affermano così parole d’ordine e categorie nazi-fasciste come signoraggio e usurocrazia (Ezra Pound docet), mentre a sinistra piuttosto che tornare a ragionare sulla necessità storica della rivoluzione sociale, si preferisce alimentare illusioni paradossali sulla decrescita quando ormai la crescente proletarizzazione e pauperizzazione porta milioni di nuovi miserabili al saccheggio.

Guai poi a parlare di plusvalore, ossia della costante rapina ai danni di chi lavora davvero.

Al massimo gli unici padroni “cattivi” sono quelli che evadono il fisco ai danni delle casse dello Stato; quelli invece che pagano le tasse possono continuare liberamente a sfruttare, licenziare, de localizzare, schiavizzare, vessare, discriminare e irridere operai e operaie.

Siamo liberali, perdinci: mica vorremo mettere in discussione la proprietà privata e la libertà d’impresa!?

Urge critica radicale dell’economia borghese e anticapitalismo attivo, altrimenti ad uscirne vivi ed ancora più forti saranno ancora una volta i soliti padroni.

Magari con un bel governissimo di emergenza nazionale o una nuova maggioranza “di sinistra” che già promette più privatizzazioni, rigore e sacrifici per salvare l’Italia.

E’ evidente che governi, partiti e sindacati sanno solo chiedere sacrifici ai proletari: “lacrime e sangue”, per estorcere nuove risorse, o meglio plusvalore, da buttare nel calderone senza fondo della speculazione. Oppure da sperperare nelle guerre neo-coloniali in Afghanistan e Libia o per finanziare lo stato di polizia necessario ad imporre devastazioni ambientali come la linea TAV o le discariche vero snodo dell’intreccio degli interessi legali e criminali. Per non parlare dei regali a fondo perduto alle casse vaticane.

Un tempo -qualcuno ha osservato- quando un giocatore d’azzardo perdeva, si sparava. E usciva dalla scena.

Il modo di produzione capitalistico ha perso il denaro estorto agli operai; ma non vuole uscire dalla scena, continuando invece a scommettere sulla pelle dei lavoratori dipendenti e dei senza-reddito.

Costringerlo a farlo, ormai, è questione di sopravvivenza: la nostra.

CFG