GIORNALISMO DA ULTIMA SPIAGGIA

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Considerando ormai “fuori gara” i cronisti filo-Tav de «La Stampa», tra le innumerevoli prove di quanto il giornalismo asservito può scendere in basso, quest’estate merita senz’altro una citazione l’articolo comparso alla vigilia di Ferragosto su «Il Giornale» dal titolo “Dalla Tav al Salento il «popolo del No» non va mai in ferie”, a firma di Nadia Muratore, giornalista con un curriculum davvero degno di nota: da collaboratrice di «Polizia moderna» a responsabile dell’ufficio stampa dell’ex ministro Calderoli.
Francamente, va riconosciuto che è difficile concentrare in così poco spazio tante banalità, ben oltre le frontiere del ridicolo, senza alcun altro scopo che cercare di gettare discredito su “l’ultima moda degli antagonisti” che, accipicchia, “paralizzano la crescita”.
L’apertura dell’articolo è classicamente ispirata al paternalismo e deve molto, in fatto di astio e categorie, sia a quel genio di Brunetta (per quanto riguarda gli studenti) che a Grillo (per le accuse verso i pensionati e i pubblici dipendenti).
La tiritera è talmente campata in aria da far arrossire, ma vale la pena riprenderla. Da chi è dunque composto questo “popolo del Non fare”? Risposta: da “Studenti fuori corso – per lo più bamboccioni – impiegati frustrati (…) e pensionati nostalgici”.
A seguire, la “giornalista” cuneese cerca di colpevolizzare e dileggiare comportamenti che qualsiasi persona di buon senso non troverebbe affatto riprovevoli: “arrampicarsi sui tralicci dell’alta tensione, rischiando anche la vita per il proprio ideale” o scegliere di partecipare ad un campeggio di lotta, piuttosto che sprecare le proprie ferie su qualche affollata spiaggia adriatica.
E per cercare di togliere valore etico a queste scelte, la Muratore giunge a insinuare che chi sale su un traliccio lo fa per le telecamere e, quindi, per mero esibizionismo.  Eppure è abbastanza ovvio che simili forme di protesta servono certo ad attirare l’attenzione dei media, ma non su chi le compie, ma bensì sulle ragioni di chi si oppone, e se prima di scrivere simile sciocchezze, la signora si fosse presa la briga di intervistare quei “pirla” di Luca Abbà e Turi Vaccaro, magari avrebbe imparato qualcosa sull’azione non-violenta.
Chissà, forse, le sono bastate le fondamentali lezioni di Bossi sui metodi gandhiani…
A conferma, peraltro, del povertà dei suoi argomenti, cerca pure di scovare presunte contraddizioni nel comportamento di questi bambini capricciosi; impareggiabile l’accusa di soggiornare in tenda in Valsusa d’estate invece che… “d’inverno, quando nevica”(!). E, per far apparire ancora più tremendi questi campeggiatori arriva a scrivere che giungono “con le pietre e le molotov nel sacco a pelo”(!!).
D’altronde, una giornalista che pretende di scrivere di Tav, confondendo l’Alta velocità con l’Alta tecnologia, si commenta da sola.
Eppure, andando oltre le abusate argomentazioni da sindrome Nimby (termine che però forse non conosce), costei qualche spunto di riflessione sulle ragioni di tanti “No” potrebbe trovarlo con facilità pure in rete. Ad esempio, ha mai sentito dire che a Chiomonte la costruzione del cantiere Tav ha già causato l’abbattimento di oltre 5 mila alberi e la rovina del sito archeologico? Conosce la documentazione sulle conseguenze per la salute delle emissioni elettromagnetiche del sistema di comunicazioni Muos? Casualmente, ha saputo che anche il contestato rigassificatore off-shore nel mare di Livorno comporterà per gli utenti un aumento della bolletta da pagare? Per caso, infine, è mai stata colta dal dubbio che lo stato di polizia e il dramma del carcere esistono non solo per il padrone del giornale su cui scrive?
Ma è probabile che dietro le “verità assolute” di questa dispensatrice di malafede, mai vista sorridere, ci sia un’inconfessabile isteria indotta dal vedere che migliaia di persone continuano a pensare, muoversi e resistere, fuori dal controllo dei partiti e contro i governi della devastazione e del saccheggio ambientale.
Tanto vale allora rassegnarsi, magari tornando ai reportage sul Palio delle galline.
Altra Info

GIANNI DE GENNARO PATRIMONIO DELL’UNESCO?

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Immagine tratta dal sito web Quink

Rilanciamo su questo blog l’articolo di Comidad “GIANNI DE GENNARO PATRIMONIO DELL’UNESCO?” http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=559

La cattiva gestione dei reperti archeologici di Pompei è stata motivo per l’agenzia ONU Unesco di minacciare il ritiro della qualifica di “Patrimonio Culturale dell’Umanità” per questa area. Per fortuna, un miliardario filantropo statunitense, David W. Packard, con la sua fondazione Packard Humanities Institute, è giunto in soccorso delle autorità italiane con progetti modello, come quello per Ercolano, diventando un interlocutore stabile del ministero dei Beni Culturali. La fondazione filantropica ha stabilito la sua sede proprio in Italia, a Pisa, per consentire un impegno continuativo. L’attività filantropica di Packard è stata celebrata con entusiasmo dal quotidiano “Il Sole-24 ore”.
Packard, nel suo slancio filantropico, non si occupa però solo di Beni Culturali, ma anche di politica estera, sostenendo lo sforzo delle neonate democrazie dell’Europa dell’Est. Insomma, è nato un vero e proprio impero filantropico Packard, che si sta affiancando agli imperi, altrettanto benemeriti, di George Soros e di Bill Gates.
David Packard è il figlio di uno dei fondatori del colosso informatico HP. David Packard padre svolse anche la funzione di vicesegretario alla Difesa nell’Amministrazione Nixon. Il fatto che l’industria di Packard fosse uno dei maggiori fornitori della Difesa non impedì dunque al magnate di andare a servire il proprio Paese nella veste di viceministro, poiché, in quella civiltà superiore, neppure si pone la possibilità di un conflitto di interessi. Si potrebbe dire che è roba di quaranta anni fa, tanto più che Packard padre ha fatto improvvisamente mancare i suoi preziosi servigi al mondo nel 1996. Invece la HP, appena nel giugno scorso, ha ottenuto dal Pentagono due contratti miliardari, uno per l’Esercito e l’altro per la Marina, che la terranno impegnata almeno sino al 2018.
Risulta chiaro a chiunque che l’intento umanitario è sia nella produzione di armi che nella gestione delle aree di interesse culturale, poiché entrambe convergono a consolidare la pace e la democrazia; ma, in questo mondo infestato dalla mala pianta dei complottisti, qualcuno potrebbe sospettare che il filantropo Packard usi la sua fondazione come ulteriore strumento di occupazione di un territorio già disseminato di basi militari USA. Tali ingenerosi sospetti coinvolgono anche il ministero dei Beni Culturali, che sarebbe ormai talmente occupato dal lobbying delle ONG filantropiche, da essere diventato un’agenzia di privatizzazione strisciante delle aree archeologiche più prestigiose e turisticamente remunerative. La privatizzazione potrebbe essere presentata come inevitabile se si ponesse l’emergenza di un ritiro della qualifica di Patrimonio Culturale dell’Umanità da parte dell’Unesco.
In questo malaugurato caso però si potrebbe rimpiazzare Pompei riconoscendo il titolo di Patrimonio Culturale dell’Umanità al prefetto Gianni De Gennaro. Non si tratta di un volo pindarico, poiché effettivamente De Gennaro costituisce un’enciclopedia vivente dei meccanismi del potere: dalla polizia, al commissariato per l’emergenza rifiuti, alla direzione dei servizi segreti, poi la nomina a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sino a diventare oggi un collega di Packard. Il Cursus Honorum di De Gennaro si è potuto realizzare in modo assolutamente trasversale agli schieramenti politici ed alle dinamiche dei partiti, a dimostrazione che queste furiose diatribe tra destra e “sinistra” costituiscono un semplice talk-show.
Appena diventato presidente della maggiore industria italiana degli armamenti, Finmeccanica, De Gennaro è stato oggetto degli strali degli sprovveduti, che si sono domandati cosa ci faccia un ex poliziotto, e poi supremo dirigente dei servizi segreti, a capo di un’industria degli armamenti; come se non fosse arcinoto alle cronache che i maggiori piazzisti di armi nel mondo sono proprio i servizi segreti. L’importante è che le cronache rimangano abbastanza generiche e sopravvengano a fatto compiuto, a meno di non voler fare la fine di Ilaria Alpi, eliminata per aver disturbato un affare di armi del SISMI in corso in Somalia. Senza rivangare troppo questi casi incresciosi, si può soltanto concludere che il fatto che il piazzista ora sia addirittura diventato presidente costituisce semplicemente un esempio di sana meritocrazia. Il quotidiano “Il Sole-24 ore” ha infatti celebrato anche la nomina di De Gennaro a presidente di Finmeccanica, osservando che sicuramente gioveranno all’azienda gli storici ed eccellenti rapporti dello stesso De Gennaro con gli Stati Uniti.
Che i rapporti di De Gennaro con gli USA siano ottimi, è provato dal fatto che egli sia l’unico straniero ad essere insignito con la massima onorificenza del Federal Bureau of Investigation. Ecco finalmente uno che potrà parlare con il Pentagono e con tutti i servizi segreti USA in piena familiarità.
I soliti complottisti sospettano persino che De Gennaro avesse a che fare con i servizi segreti ancor prima di diventarne ufficialmente dirigente. Il SISDE fu infatti presente a Genova nel 2001 durante il famigerato G8, diffondendo notizie allarmistiche su manifestanti che avrebbero avuto intenzione di usare i poliziotti come “scudi umani”. Proprio il tipo di notizie utili a creare il clima per il massacro alla scuola Diaz. La informativa SISDE sugli “scudi umani” fu riportata a suo tempo da quel giornale indipendente e imparziale che è “La Repubblica”.
Ma chi tira in ballo argomenti del genere, non ha considerato le sacrosante motivazioni della sentenza che ha scagionato De Gennaro da ogni addebito per i fatti della Diaz. Parrebbe infatti che tutto sia avvenuto alle spalle di De Gennaro, il quale, per eccesso di affabilità e gentilezza d’animo, aveva difficoltà a farsi obbedire e prendere sul serio dai suoi sottoposti. Insomma, non lo pensava nessuno.
Per consolare il meschino di tanta incomprensione, arrivò per lui nel 2008, da parte del Presidente del Consiglio Prodi, la nomina a commissario per l’emergenza rifiuti a Napoli. La nomina fece scandalizzare gli sprovveduti e gli invidiosi del merito altrui, i quali si domandarono cosa c’entrasse De Gennaro con la monnezza. Invece, probabilmente, i rapporti di De Gennaro con la monnezza erano storici. Forse già allora egli si occupava e preoccupava di questioni attinenti agli armamenti ed alle loro ricadute in termini di sostanze tossiche.
Un paio di mesi fa un parlamentare del M5S, tale Roberto Fico, ha proposto che i militari italiani siano ritirati dall’Afghanistan per venire a presidiare il territorio della Campania, in modo da impedire gli sversamenti illegali di rifiuti tossici da parte della camorra. Fa sempre piacere quando questi movimenti nati in odore di estremismo, riconoscono finalmente il ruolo prezioso per la Nazione svolto dalle nostre gloriose Forze Armate.
Evidentemente Fico pensa agli sversamenti legali di scorie attuati dai militari, come quello ripreso in un video dell’ottobre 2008 nella discarica di Chiaiano. Peccato che riprendere video del genere sia sempre più rischioso, poiché con la Legge 123/2008, le discariche sono state proclamate aree di interesse strategico nazionale, e quindi coperte da una fattispecie di segreto militare.
Come quella di Forrest Gump, anche la biografia di Gianni De Gennaro costituisce la luminosa dimostrazione che non esistono cospirazioni o associazioni a delinquere, ma che la vita è tutta un gioco di felici coincidenze. Infatti il caso vuole che faccia parte del gruppo Finmeccanica una delle più importanti aziende specializzate nel prelievo e nello smaltimento di scorie tossiche, cioè l’Ansaldo Nucleare. Le centrali nucleari stanno lì apposta ad insegnarci che economia ed affari sono cose non solo diverse, ma addirittura opposte: più un affare è lucroso, più sarà antieconomico. Infatti il vero e grande business delle centrali nucleari non consiste nel loro funzionamento, bensì nella loro dismissione, nel cosiddetto “decommissioning”. Produrre energia nucleare non rende, mentre fa guadagnare moltissimo gestire la rimozione e lo smaltimento delle scorie radioattive.
Quanto può durare e quanto può costare il decommissioning di una centrale nucleare? La risposta è un segreto, sia segreto di Stato che segreto militare. “Segreto” va inteso nel modo corretto, non nel senso che le cose non si vengano a sapere, ma nel senso che non si deve rendere conto di nulla. Questa impunità legalizzata crea assuefazione nell’opinione pubblica, perciò viene percepita alla fine come innocenza; quindi, anche quando le evidenze sono a disposizione di tutti, si continua a non voler vedere e non voler sapere. Il fatto che De Gennaro sia assurto ai fasti della presidenza di Finmeccanica, conferma quanto già era evidente, e cioè che il rapporto tra questo gruppo industriale ed i servizi segreti è organico: si tratta di due facce della stessa medaglia. I soliti sospettosi potrebbero osservare che l’esistenza di un tale intreccio tra servizi e segreti e Finmeccanica andrebbe a liquidare l’ipotesi che l’attentato del maggio dello scorso anno all’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare potesse essere alla portata dei due imputati attualmente sotto processo a Genova. Anzi, si porrebbero dubbi su tutta la formazione del meccanismo “probatorio”. Tanto più che la Procura di Genova non ha potuto neppure contestare ai due imputati della presunta “Cellula Olga” il reato associativo, poiché l’articolo 416 del Codice Penale indica per questa specie di reato un minimo di tre persone organizzate fra loro.
Ma chi facesse obiezioni del genere, non terrebbe conto del fatto che il terrorismo è una categoria puramente morale, che sospende tutte le leggi della logica, della fisica e della biologia; il terrorismo è un mondo a parte, dove la cattiva intenzione rende possibile ogni cosa.

 
 
Ricordiamo peraltro che De Gennaro è stato pure “special advisor” per il governo italiano del programma di ricostruzione del sistema giudiziario e penitenziario in Afghanistan, comprendente anche la riattivazione e la creazione di nuovi carceri speciali, compresi quelli per le donne.
 

“Serve una Thatcher per la sinistra”?

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Slavoj Žižek

Serve una Thatcher per la sinistra

Internazionale n. 997, anno 20, 25 aprile/2 maggio 2013 (Articolo originale qui)

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A pochi giorni dal funerale forse maggiormente mediatizzato nella storia dei leader politici dalla fine della secona guerra mondiale – se eccettuiamo poche eccezioni, certo non contraddistinte dagli Osanna di tutti i capi di stato e di partito occidentali – il filosofo Slavoj Žižek scopre la meravigliosa capacità egemonica della Thatcher, oltre ai suoi meriti personali.

Sarebbe fin troppo facile polemizzare con lui sulla base di una simpatia dichiarata per la defunta, oggetto di contestazione anche nel giorno della sua celebrazione ex-post.

E’ perfino imbarazzante dover spiegare brevemente che se la presupposta egemonia thatcheriana è stata certamente evidente nel partito laburista, al contrario è stata profondamente estranea ai bisogni (senza scomodare i desideri) della classe operaia inglese, degli studenti e studentesse del Regno Unito, di tutti-e coloro che grazie alla leadership della Madame hanno scoperto o inventato bellissime scorte di sotto-cultura come il punk.

Uno dei difetti più grandi di certi teorici è ritenere la massa poco più di un rumore di sottofondo, fastidioso a tratti, sul quale si alzano profonde e perentorie le voci dei Soggetti unici della Storia.

Essi sono uomini, adulti, sono stati eletti o meno (un dettaglio), sono sempre espressione della classe dominante, qualunque essa sia. Non fa eccezione la Thatcher (né la Merkel, aggiungo) sostiene Ken Loach, poiché esse sono “maschili” quanto e più dei loro colleghi. Se non basta essere dotate di organi riproduttivi per fare una politica diversa da quella patriarcale, di certo è evidente a tutte, oggi, che men che mai tali organi possono fornire anticorpi utili alle politiche di dominazione e colonizzazione capitaliste.

Non vi è “eccezionalità” se non biologica, ed essa ha un valore e conta solo per le classi subalterne (quelle si, biologizzate e razializzate, come deve essere per chi sta sopra).

Tuttavia, non voglio evitare il tema né la tesi di Žižek e dunque giungo al punto.

Žižek sostiene che le proteste e le proposte – già attuate perché sperimentali, quindi praticate – di gruppi almeno significativi di popolazione europea, americana e africana “rappresentano una sorta di ‘ostacolo epistemologico’ a un vero confronto con l’attuale crisi del nostro sistema politico”. Nella storia, sostiene il filosofo, il Capo rappresenta la divisione (e la sua soluzione positiva) tra vecchio e nuovo, tra chi “vuole tirare avanti all’interno dei vecchi schemi e chi è consapevole della necessità di un cambiamento”.

Ovviamente il Capo è illuminato, e pur provenendo da una delle due fazioni calcistiche – lo supponiamo, dato che il filosofo si dimentica di offrirci numi circa la sua provenienza sociologica e/o politica – farà ciò che è giusto. L’aspettativa messianica in tempi di crisi è comprensibile, soprattutto se viene da un teorico di quella religione laicizzata che è la psicoanalisi, quel che lascia un pochino perplessi è l’evidente mancanza di fantasia che tale prospettiva denuncia. Il conformismo abissale di siffatta speranza potrebbe essere perfino oggetto di sarcastiche considerazioni gramsciane a proposito del “buon senso comune”.

L’autorganizzazione diretta è per Žižek un “mito”, “l’ultima trappola, l’illusione più profonda che deve ancora cadere e quella a cui è più difficile rinunciare”.

Se è vero, come sostiene il Prete laico delle belle Speranze, che in ogni processo rivoluzionario “ci sono momenti estatici di solidarietà di gruppo”, e anche “momenti di intensa partecipazione collettiva”, la Religione dell’ordine conformista ci ricorda a duro monito che tuttavia “queste situazioni non durano”.

E attenzione: non durano non perché represse nel sangue proprio per mano dei sicari dell’ordine conforme della Repressione – i cui Capi soltanto! conoscono e perseguono il nostro bene – ma perché “la stanchezza qui non è un semplice fatto psicologico, è una categoria di ontologia sociale”.

Ve li ricordate, si?, i compagni a Kronstadt quanta noia…come decisero spontaneamente di arrendersi a Trotskj offrendogli le armi e le munizioni…e come i partigiani e le miliziane spagnole, dopo mesi di sofferenza, stenti, fame, malattie e uccisioni in trincea, stufi di tanto ardimento, scelsero di restituire a Franco la Spagna, con mediazione dell’altro Capo illuminato della fazione comunista-conformista Stalin…e ancora oggi, c’è da prevedere un repentino crollo di sonno da parte delle compagnie zapatiste, che da molto (troppo!) resistono persino senza un Capo (e cantino due ave maria per penitenza!!).

Fortuna che c’è Žižek, che sa già cosa è il nostro bene: “la grande maggioranza – me compreso – vuole essere passiva e affidarsi a un apparato statale efficiente che garantisca il funzionamento dell’intero edificio sociale, per potersi dedicare in pace alle sue attività”.

Certo, per il prete Žižek è facile che questo sia vero. Per un lavoratore thatcherizzato un po’ meno, poiché “le sue attività” rischiano fortemente di essere il solo lavoro schiavizzato, una morte causata dall’organizzazione produttiva, il carcere se trasgredisce le regole del Capo. E credo di potermi arrischiare a stilare una lunga lista di biografie non dissimili, se non per età, sesso, etnia, orientamento sessuale, abilità ecc., che partecipano della stessa classe sociale (più o meno, ma ci intendiamo) del lavoratore di cui sopra.

Guarda caso, complotto dei complotti, gli stessi soggetti che autogestiscono l’esistente in questi tempi di crisi…quale presunzione!

E Žižek infatti si affretta a metterci una toppa (che non si dica che ne sa una più del diavolo): “quanto alla moltitudine molecolare autorganizzata contro l’ordine gerarchico sostenuto dal riferimento a un leader carismatico, si noti l’ironia del fatto che il Venezuela – un paese elogiato da molti per i suoi tentativi di sviluppare modalità di democrazia diretta (consigli locali, cooperative, lavoratori alla guida delle fabbriche) – è anche il paese che ha avuto come presidente Hugo Chàvez, un forte leader carismatico”.

Molto ironico davvero…soprattutto l’elogio di Chàvez, proveniente in larga misura dai Capi dei paesi americo-latini capitalistici: un mix di bon ton istituzionale e empowerment di mercato.

Chiedesse Žižek ai lavoratori e alle lavoratrici venezuelane se sono tutti e tutte così tanto contente della via chàveziana. Ma sono solo rumori di sottofondo, e, fossero anche insorti, in procinto di abdicare al potere per ragioni “ontologiche”, pardon, decise dal Signore, che poi è lo stesso che dire “ontologia”.

Non ci dilunghiamo oltre, dato che il prete Žižek chiama in aiuto un altro grande Prelato dell’Ordine da ripristinare, Alain Badiou, a sostegno del fatto che “un soggetto ha bisogno di un Capo per elevarsi al di sopra dell’ ‘animale umano’”.

A Žižek e all’amico di fede Badiou auguriamo di trovarsi, un certo giorno di un certo anno a venire, in una piazza Tahrir di un qualsiasi luogo, attorniati da masse animalizzate e affette da un non meglio precisato “senso di minorità”, ma in preda ad un incontrollato e deleuziano desiderio di farla finita con i Capi/Padri dell’Edipo.

 

Magù

ESSERI SINISTRI

Voglio ricordare che la legalità è un valore di sinistra e che condannare e combattere la violenza e i violenti è di estrema sinistra.(Stefano Esposito, senatore PD. La Stampa, 16 maggio 2013)

Al partito sono preoccupati? Non devono esserlo: nessuno vuole spaccare vetri.

(Andrea Giorgio, segretario regionale toscano Giovani Democratici. Il Tirreno, 11 maggio 2013)

 

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Per qualche secolo, l’essere di sinistra coincidendo con il pensiero socialista ha significato un agire politico e sindacale per l’emancipazione della classe lavoratrice, rivendicando nell’immediato uguaglianza economica e giustizia sociale e prefigurando l’abolizione dello sfruttamento capitalista e il superamento dello stato borghese.

L’anarchismo, ponendosi fuori dalla tattica parlamentare, si è storicamente posto all’estrema sinistra del movimento socialista, optando per la rivoluzione sociale e la contemporanea distruzione di ogni potere politico e quindi la negazione di qualsiasi governo o stato, comprese le varianti liberali, democratiche e socialiste, ritenendo necessaria e fattibile l’autogestione generalizzata della società. 

Questo progetto radicalmente alternativo ha di conseguenza segnato la differenza di pratica e etica tra l’anarchismo e le ipotesi riformiste dei partiti socialdemocratici, ma anche verso le opzioni autoritarie dei partiti comunisti volte a instaurare il socialismo di stato.

Tali differenze, anche conflittuali, tra socialismo libertario, legalitario e autoritario restano immutate nella sostanza, alla luce sia della caduta dei regimi “comunisti” che di fronte alla crisi epocale del capitalismo e del suo ordinamento politico, assieme a tutte le illusioni progressiste di modifica umanitaria o di pacifica democratizzazione, tanto che gli eredi di quella che fu la “sinistra riformista” appaiono ormai precipitati dentro una voragine di senso e identità.

Smarriti o rinnegati i riferimenti e i principi alla base del pensiero socialista (e persino quelli ereditati dalla rivoluzione francese: Liberté, Égalité, Fraternité) ritenuti alla stregua di anticaglie, elettori ed iscritti stanno quindi ora scoprendo il nulla che regna dietro i propri dirigenti e, soprattutto, il vuoto di opposizione e alternativa al naufragio di un sistema politico e economico.

Prima l’autodistruzione craxiana del partito socialista, dissoltosi proprio quando stava per festeggiare il centenario della sua fondazione, quindi la progressiva dissoluzione del partito comunista e la sua mutazione in un partito dichiaratamente “non di sinistra”.

Per decenni, tale vuoto è stato dissimulato dall’antiberlusconismo, ma adesso che il “nuovo” governo di larghe intese non lascia margini di speranza ai lavoratori e ai senza reddito, il cadavere della sinistra politica è davanti a tutti: dopo decenni di compromessi, responsabilità, concertazione, sacrifici, moderazione è arretrata – cedimento dopo cedimento – sino a non avere più spazi di manovra e rovinare in una desolante resa totale.

Eppure, neanche in un frangente in cui sarebbe vitale trovare coraggio e energia per ridare forza all’iniziativa e alla voglia di effettivo cambiamento che pure esiste nella società, la principale preoccupazione governativa di una ex-sinistra datasi volontariamente in ostaggio alla destra è che non esplodano in forma conflittuale le contraddizioni sociali, né che venga messo in discussione il dominio del capitale, anche quando è ormai evidente che la logica del profitto sta condannando l’umanità alla miseria, alla distruzione dell’ambiente e allo stato di guerra permanente.

Piuttosto che dare spazio alle lotte, ai movimenti di base e all’autorganizzazione dal basso, si accetta con rassegnazione lo stillicidio di suicidi per mancanza di lavoro, reddito, futuro mentre, alla faccia della retorica della crisi che colpisce tutti, continua a crescere il divario tra chi ha e chi non ha.

La stessa preoccupazione per l’ordine pubblico percorre non casualmente la destra, come attestano le parole del ministro postfascista dell’interno Alfano, ma anche SEL che, per bocca del suo leader Vendola ha più volte condannato ogni “estremismo”, così come quel Movimento 5 Stelle che vuole accreditarsi come unica opposizione e alternativa “gandhiana” alla rivolta. Emblematica la recente dichiarazione di Grillo: «In Europa sono rimasti agli scontri di piazza mentre noi abbiamo fatto entrare la polizia nel movimento» (Corriere della Sera, 19 maggio 2013).

Sarebbero questi quelli che dovevano “destabilizzare il sistema”?

 

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LA FESTA DELL’INSURREZIONE

Partigiane e partigiani della "Settecomuni" nel bosco nero, giugno 1944
Partigiane e partigiani della “Settecomuni” nel bosco nero, giugno 1944

Il ricordo del 25 aprile 1945 ormai, sia per la destra che in certa sinistra democratica, appare come storia morta e sepolta.

Storicamente parlando, il Venticinque Aprile sarebbe più corretto considerarlo e festeggiarlo come l’anniversario dell’insurrezione contro il nazifascismo, piuttosto che come quello di un’imprecisata Liberazione.

Infatti, quel giorno iniziò nel Nord Italia – ancora sotto l’occupazione militare germanica affiancata dai collaborazionisti della Repubblica di Salò – la sollevazione popolare e partigiana, ma in molte zone i combattimenti durarono ancora diversi giorni e furono effettivamente liberate una settimana dopo.

Inoltre, anche dopo la liberazione delle città e delle valli dalle truppe nazifasciste, la prospettiva di una liberazione non soltanto nazionale rimase incompiuta, così come restò aperta la questione politica ed economica con le sue immutate ingiustizie sociali.

Così, a distanza di tanti decenni, il 25 aprile si riduce ad occasione in cui disquisire di morti, dell’una e dell’altra parte, piuttosto che delle convinzioni che armarono i vivi e li videro contrapposti per ragioni etiche e idee di società assolutamente antitetiche.

All’interno di questa danza macabra, come al solito i vecchi nostalgici e i nuovi sostenitori del fascismo si dimostrano imbattibili nel tentativo di far apparire “tutti italiani” coloro che combatterono quella guerra civile, indistinte vittime dell’odio fratricida e delle ideologie.  Ma dietro questa apparente equiparazione, evidenziano però che non solo entrambe le parti si macchiarono di delitti, ma come i “comunisti” e gli “anarchici” si dimostrarono in realtà come i più spietati assassini dei “fratelli” che avevano “solo” il torto di essersi schierati con le truppe di Hitler, in nome di un improbabile senso dell’onore.

Tale frenesia revisionista nel cercare prove della “barbarie rossa” è talvolta così morbosa da indurre in errori tragicomici: nel 2004 nei pressi di Argenta (Fe) una presunta fossa comune di poveri “ragazzi di Salò” massacrati dai partigiani, clamorosamente usata per criminalizzare la Resistenza e la sinistra, si rivelò il cimitero dimenticato di un antico convento; analogamente, è avvenuto a San Giovanni Persiceto (Bo), quando lo scorso settembre è stato risolto il caso di 34 scheletri trovati nel 1962, sotterrati in un campo. Al tempo era stata, faziosamente, accreditata l’ipotesi di un eccidio partigiano contro persone legate al fascismo, e il parroco del paese, monsignor Guido Franzoni, celebrò persino i funerali in forma solenne davanti a una bara vuota. Dopo mezzo secolo, i resti analizzati con il metodo del radiocarbonio hanno rivelato che le ossa risalgono all’Alto Medioevo. D’altra parte, l’intento di certe “denunce” non è mai finalizzato a ricostruire storicamente le vicende di una guerra civile, iniziata nel 1919 con il sorgere del fascismo e durata oltre un ventennio, che nella sua fase finale vide anche episodi di giustizia sommaria e vendetta per violenze impunite, ma soltanto a mettere sotto accusa chi scelse di ribellarsi, facendosi disertore e fuorilegge, alla dittatura e alla guerra di Mussolini e del Terzo Reich.

Una scelta, questa sì controcorrente e di coraggio, mentre la maggioranza obbediva senza credere oppure aspettava la fine del regime senza assumersi alcuna diretta responsabilità per cercare di affrettarne la caduta e mettere fuori gioco gli squadristi, gli aguzzini e i delatori al servizio dello stato fascista.

Per questo il mito dei morti “tutti uguali” non ha senso e mette, colpevolmente, sullo stesso piano i carnefici e gli spettatori dello sterminio dell’umanità – dai bombardamenti all’iprite sulle popolazioni libiche e etiopiche alle leggi razziali, dalle torture ai lager – a fianco di quanti vi si opposero e non esitarono a combattere in prima persona per vivere un presente e un futuro di libertà e dignità umana.

Da qui, l’attualità di difendere la memoria di quella scelta, rifiutando la storia monumentale come quella antiquaria dell’antifascismo, a favore di una storia critica.

Critica, in primo luogo, verso la sottomissione al potere.

Uno come un’altra

MARTINA GUERRINI – DONNE CONTRO: ribelli, sovversive, antifasciste nel Casellario Politico Centrale.

MARTINA GUERRINI DONNE CONTRO Ribelli, sovversive, antifasciste nel Casellario Politico Centrale Zero in Condotta, Milano, 2013 – pag. 82 con foto – Euro 10 Dalle prime sovversive che contrastarono lo squadrismo, alle operaie ribelli al regime, passando dalle militanti della cospirazione clandestina sino alle partigiane che seppero impugnare anche le armi, il fascismo dovette fare i conti con donne che non accettarono di sottomettersi al ruolo sociale e all’ideologia sessista che le voleva soltanto prolifiche e ubbidienti “giovani italiane”. A rovesciare tale subalternità, sostenuta dallo stesso Mussolini, fu una capacità di autodeterminazione che un ventennio non riuscì a vincere; dalle tante piccole storie di opposizione nascoste tra le “anonime” schedate del Casellario Politico, vengono infatti alla luce biografie di donne pronte a provocare la morale e la cultura dominanti. Tale irrisolta contraddizione di genere emergerà anche all’interno delle formazioni partigiane e, successivamente, nella storiografia resistenziale che opererà una rimozione nei confronti delle combattenti e delle prospettive di radicale liberazione che perseguivano.

MARTINA GUERRINI

DONNE CONTRO

Ribelli, sovversive, antifasciste nel Casellario Politico Centrale 

Zero in Condotta, Milano, 2013 – pag. 82 con foto – Euro 7

 

Dalle prime sovversive che contrastarono lo squadrismo, alle operaie ribelli al regime, passando dalle militanti della cospirazione clandestina sino alle partigiane che seppero impugnare anche le armi, il fascismo dovette fare i conti con donne che non accettarono di sottomettersi al ruolo sociale e all’ideologia sessista che le voleva soltanto prolifiche e ubbidienti “giovani italiane”.

A rovesciare tale subalternità, sostenuta dallo stesso Mussolini, fu una capacità di autodeterminazione che un ventennio non riuscì a vincere; dalle tante piccole storie di opposizione nascoste tra le “anonime” schedate del Casellario Politico, vengono infatti alla luce biografie di donne pronte a provocare la morale e la cultura dominanti.

Tale irrisolta contraddizione di genere emergerà anche all’interno delle formazioni partigiane e, successivamente, nella storiografia resistenziale che opererà una rimozione nei confronti delle combattenti e delle prospettive di radicale liberazione che perseguivano.

Per richiesta copie e contatto con l’autrice: zeroinc@tin.it

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UN LIBRO STRIDENTE: DONNE CONTRO

C’erano le armate, le donne armate, eccome c’erano! Ciascuna di noi sceglieva.

Lucia Boetto Testori, partigiana piemontese.

Secondo la storiografia ufficiale la Resistenza sarebbe nata l’8 settembre 1943 per concludersi il 25 aprile 1945, ma in realtà la guerra civile era iniziata nel 1919 e, non casualmente, la prima vittima fu Teresa Galli, giovane operaia socialista, uccisa a Milano il 15 aprile di quell’anno nella prima aggressione squadrista con Mussolini mandante.

Appare peraltro sempre più chiaro ed anche storicamente accertato che le Resistenze al fascismo sono state politicamente e socialmente molteplici, animate e attraversate da differenze di idee, di classe ed anche di genere.

Quest’ultima realtà, in particolare, dopo una lunga rimozione o minimizzazione, negli ultimi anni ha conosciuto sì un inedito interesse per il protagonismo femminile, ma quasi sempre condizionato da letture e interpretazioni storiografiche tendenti ad inquadrare e rendere compatibile questa esperienza – di forte rottura – dentro un quadro più rassicurante.

Così, in parallelo con lo stereotipo del guerriero maschio nella sua variante partigiana, si è voluto appiattire la lotta delle donne antifasciste nel ruolo di staffette e, comunque, di fiancheggiatrici della lotta armata in quanto “naturalmente” estranee alla pratica della violenza.

Eppure, sia nella storia italiana che nelle lotte proletarie, non era lontano un passato di donne che, sulle barricate o negli scioperi, erano state attrici di primo piano del conflitto e della rivolta contro l’autorità, “senza chiedere il permesso” degli uomini.

Così avvenne anche per tante donne guerrigliere, lungo le insidiose strade cittadine o alla macchia su aspri sentieri alpini, decise ad affermare, assieme alla loro opposizione al dominio e alla guerra fascista, pure la propria indipendenza nella vita e nella società, fuori dagli schemi del regime ma anche del patriarcato “di sinistra”.

Peraltro questa volontà si riscontra sin dal sorgere dello squadrismo e dell’ideologia mussoliniana, durante l’intero e tetro Ventennio, incrinato dal dissenso aperto o sommerso, clandestino o plateale, di tutte quelle donne – oltre cinquemila – che finirono schedate dalla polizia nel Casellario politico centrale.

Sovversive militanti o anonime popolane, vennero ritenute pericolose per l’ordine costituito, anche per il “cattivo esempio” che offrivano per le giovani che dovevano crescere nella vocazione all’obbedienza e al focolare domestico. Per questo, oltre all’essere inquisite come “nemiche interne” vennero puntualmente additate come donne di “pessima condotta morale” o di riprovevoli “facili costumi”.

Risulta quindi particolarmente interessante e tutt’altro che inattuale l’analisi dello sguardo sessista che “fotografava”, con stigma criminalizzante e perbenista, quelle donne che, più o meno consapevolmente, anche solo con il manifestare la propria libertà sabotavano il sistema oppressivo fascista.

Analisi che l’autrice, prendendo come campione significativo le donne di Venezia schedate da parte degli organi repressivi, mette bene in evidenza disarticolando il paradigma discriminante messo in atto dal funzionario di questura. Quello stesso tutore dell’ordine, sotto la cui uniforme o camicia nera traspariva la mentalità maschilista ma anche il moralismo cattolico e la difesa della tradizione familista, nonostante lui stesso fosse un abitudinario frequentatore dei bordelli che il regime proteggeva e incentivava a favore della maschia gioventù del littorio.

Non di meno, appare pertinente la riflessione critica attorno al “mito” della resistente non-violenta ma pure la messa in discussione della tesi che vuole il protagonismo delle partigiane quale ricaduta in positivo della propaganda patriottica e militaresca svolta dal fascismo, negando quindi la loro autonomia di pensare e scegliere di vivere “contro”, come passaggio necessario per una liberazione che certo non poteva essere solo quella nazionale o limitarsi alla conquista formale dei diritti democratici.

Per questo si tratta di un libro stridente, rispetto a molte interpretazioni che vanno per la maggiore anche nei contesti che si richiamano alla resistenza e all’antifascismo, ma anche nei confronti di alcuni settori femministi preoccupati più di interloquire con la politica istituzionale che di approfondire la rivolta.

Un libro necessario proprio per il suo stridere, in antitesi con le troppe accondiscendenze che certo non aiutano a ri-aprire prospettive da respirare come aria libera di montagna.

Archivio antifascista

GRILLO SOCCORRE LO STATO

I recenti risultati elettorali in Sicilia, oltre a evidenziare l’impressionante astensionismo (oltre il 52%) che in un certo senso rappresenta non solo il primo “partito” ma anche la maggioranza dell’elettorato, ha offerto la possibilità di smascherare l’effettivo ruolo giocato dal Movimento 5 stelle: il partito di Grillo ha, a tutti gli effetti, salvato il sistema dei partiti.

Se, infatti, quel 15% di votanti avesse scelto di esprimere al propria protesta contro la partitocrazia disertando le urne, invece che delegandola al candidato-grillino, l’impatto dello “sciopero del voto” sarebbe stato ancora più dirompente, sfiorando complessivamente il 70%.

Per questo all’indomani della disfatta dei partiti parlamentari e della stampa, l’atteggiamento è apparso trasversalmente alquanto bonario nei confronti di Grillo e soci, archiviando le accuse che nei mesi scorsi erano andate per la maggiore dall’antipolitica al populismo, dal qualunquismo allo squadrismo.

Nel momento in cui la separazione tra società e stato diventa così palese e pesante e “il voto di chi non vota” finisce per assumere una valenza di radicale rottura col sistema politico-economico e, di conseguenza, nei confronti dei partiti della crisi, dell’unità nazionale, del ceto politicante e governativo che questo esprime, anche l’esistenza di un sedicente “antipartito” come quello a 5 stelle diventa prezioso, perché come ha pure sottolineato Ilvo Diamanti (La Repubblica, 30 ottobre) “si tratta, comunque, di un’alternativa al non-voto”.

Anche se può apparire come l’ultima spiaggia per le illusioni di milioni di scontenti, delusi, incazzati, estremisti da bar e rivoluzionari a parole, votare per qualcuno che si candida con un partito “alternativo” a rappresentare, indirizzare ed utilizzare il dissenso popolare per ottenere nei posti di potere, dalle amministrazioni locali al governo nazionale, è pur sempre una dimostrazione di fiducia nella possibilità di riformare e non certo di sovvertire quell’apparato di dominio che si dice di avversare.

Per di più è ben noto come chi entra, criticamente, nelle istituzioni per trasformarle, in breve tempo finisce per essere trasformato, divenendo a sua volta parte integrante dell’apparato che diceva di voler cambiare o mettere sottosopra, tanto da introiettare il punto di vista e le compatibilità di chi comanda, governa, decide sulla testa di quei “sudditi” ai quali non viene mai riconosciuto il diritto né la capacità di autogovernarsi senza farsi Stato.

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Aggiornamenti dal Peru’

La polizia questa settimana ha ucciso 5 persone  durante le proteste contro la miniera Yanacocha nelle provincie di Celendin e Bambamarca nella regione di Cajamarca nel Nord del Perù.
Da un anno campesinas e campesinos insieme a cittadini di Cajamarca e dei dintorni lottano contro il progetto aurifero “Conga” della compagnia miniera Yanacocha di proprietà della Newmont Mining Corporation (Canada), Compañía de Minas Buenaventura (Perù) e della Corporazione Finanziaria Internazionale (IFC).  Il progetto Conga prevede l’estrazione di oro da due laghi nella zona altoandina di Cajamarca e la distruzione di altri due laghi che verranno utilizzati come deposito di residui, questi 4 laghi costituiscono la sorgente dei pricipali fiumi della zona.
Da un mese a questa parte nella regione di Cajamarca era stato dichiarato un paro indefinido, un periodo di proteste e di veglia continua ai laghi per impedire l’inizio dei lavori della compagnia, lo stato ha sempre mostrato la sua sottomissione a Yanacocha e inviato in più occasioni polizia e militari per reprimere le proteste. Gli abitanti della regione e soprattutto delle provincie che verranno colpite direttamente dal progetto non si sono fatti intimidire e hanno continuato la loro lotta , a Celendín i primi di maggio un contingente della polizia nazionale è stato cacciato dalla città dai manifestanti. Il giorno 3 luglio la polizia è arrivata a Celendín con l’ordine di sparare ai manifestanti che tentavano di attaccare la municipalidad per dimettere l’alcalde che aveva dato il suo appoggio al progetto Conga e al presidente Ollanta Humala. La violenta repressione ha provocato la morte di tre persone José Silva Sánchez (35), Eleuterio García Díaz (40)  e  C.M.A di 17 anni, altre 30 sono rimaste ferite. Secondo la stampa nazionale che appoggia il governo e la violenza della polizia due poliziotti sono stati feriti con armi da fuoco usate dai manifestanti.
È stato dichiarato lo stato di emergenza per 30 giorni nelle provincie di Celendin Huangayoc e Cajamarca (sospensione dei diritti di libertà personale, riunione, circolazione, inviolabilità del domicilio e molti altri) questo garantisce  la totale libertà alla polizia e la giustifica per ulteriori violenze. Nonostante ciò il 5 luglio le proteste sono continuate in tutta la regione e così anche la repressione, la polizia ha infatti ucciso altri manifestante a Bambamarca.
Secondo i comunicati radio che arrivano dalla regione gli abitanti di Cajamarca sono decisi a resistere e lottare per difendere la loro acqua e le loro terre.

Inivitiamo alla diffusione di informazioni e alla solidarietà con la popolazione di Cajamarca.

Eventi Maggio 2012

sabato 12 maggio 2012 ore 17,30 – Ateneo degli Imperfetti – Via Bottenigo 209 / Marghera VE

presentazione del libro
nestor machno:
bandiera nera sull’ucraina
guerriglia libertaria e rivoluzione contadina
(1917-1921)
di Alexander V. Shubin
elèuthera editrice

ne discutiamo con Mikhail Tsovma – curatore del libro
traduzione consecutiva di: Luca Galletti, Luca Pes

A quasi cento anni dagli eventi, grazie all’apertura degli archivi segreti dell’URSS, è ora possibile ricostruire nella sua complessità, la storia della Rivoluzione russa, al di là dei miti e dei racconti dei vincitori. Una attenzione particolare, anche per le dimensioni del fenomeno, è stata data all’anarchico ucraino Nestor Machno e al movimento, in larga parte contadino, che tra il 1917 e il 1921 coinvolse una vasta regione dell’Ucraina. Una grandiosa esperienza libertaria, sia nel senso dell’autogestione che della guerriglia partigiana, che combatté vittoriosamente contro l’esercito austrotedesco, nazionalista ucraino, zarista e che fu repressa nel sangue, dopo un’alleanza tattica, dall’Armata Rossa di Lenin e Trotsky. Data l’eccezionalità della presenza di Mikhail Tsovma, storico e militante dei diritti umani in Russia, durante il dibattito cercheremo di analizzare anche alcuni aspetti controversi della Russia.

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SABATO 12 MAGGIO

PISA – PIAZZA SANT’ANTONIO – ORE 15

A quarant’anni dalla morte di Franco Serantini l’assemblea degli Anarchici Toscani ha deciso di organizzare a Pisa, per il 12 maggio, una manifestazione nazionale anarchica.
Oggi più che mai è doveroso riprendersi le piazze e le strade della città con un corteo, forti anche delle ragioni e delle idee per cui Franco lottava.

Manifestazione nazionale anarchica a quarant’anni dalla morte di Franco Serantini

http://serantini12maggio.noblogs.org/

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sabato 12 maggio – ore 18.00
PRESSO IL PREFABBRIKATO
[VIA PIRANDELLO, 22] VILLANOVA PORDENONE

CONFERENZA DIBATTITO

PARANOIA E COPLOTTISMO
tra storia, politica e psicologia

Da un decennio la vena cospirazionistica, che da sempre serpeggia nell’opinione pubblica, è esplosa in un oceano di teorie del complotto. I media e il web pullulano di “dimo-strazioni inconfutabili” delle cospirazioni di cui saremmo vittime da parte di poteri occulti, della massoneria, della fi-nanza ebraica e , perfino, degli extraterrestri. La parte del leone la fanno i siti collegabili al mondo dell’estrema destra e del fondamentalismo cattolico ma ormai le teorie del com-plotto dilagano anche nella criminologia più accreditata per farsi breccia anche negli ambienti di certa sinistra.

NTERVERRA’

LUlGI CORVAGLIA
Psicologo, psicoterapeuta, studioso di manipolazione mentale e controllo sociale, affronta il tema da una prospettiva psicologica e sociologica, passando in rassegna le distorsioni cognitive di questa paranoia collettiva e mettendo in luce i rischi di dogmatismo anti-democratico in essa insiti.

INIZIATIVA LIBERTARIA
ilpn@autoproduzioni.net
www.info-action.net

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Martedì 29 maggio 2012

Il Centro di Documentazione Anarchico di Padova

presenta: “La Grande Abbuffata”

h.18:30 Proiezione “Fratelli di Tav” e “I peccati della Maddalena” regia di Manolo Luppichini

h 20:00 (Ab)buffet Vegan a sostegno delle attiviste e degli attivisti NO TAV colpiti da procedimenti giudiziari

h.21 Incontro con Ivan Cicconi presentazione de IL LIBRO NERO DELL’ALTA VELOCITA’

Presso la Baracca Autogestita

Via Marzolo 3/a (Zona Portello) Padova

http://baraccaoccupata.noblogs.org/

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15 maggio dalle ore 17,00 e 16 maggio ore 20,00

Il 15 maggio 1948 nasce lo Stato d’Israele e inizia la pulizia etnica della Palestina. Essa è il culmine del progetto sionista, che prevede di cacciare tutti i palestinesi dalle loro terre per rendere la Palestina storica territorio etnicamente puro per gli ebrei. Questo terrorismo continua ancora oggi ad essere praticato bombardando, colonizzando, imprigionando.

Nessuno Stato è la soluzione al problema ma la lotta degli sfruttati contro i padroni e gli oppressori.

Se vogliamo tagliare quel filo spinato che avvicina Israele con i Paesi neocolonialisti occidentali dobbiamo rispolverare gli strumenti della resistenza.

15 maggio dalle ore 17,00 presidio in piazzetta della Garzeria (Padova), banchetto e mostra sull’occupazione sionista.

16 maggio ore 20,00 buffet benefit per le spese legali di Marco, attivista ora libero dalle galere israeliane, collegamenti diretti con Gaza e Cisgiordania e discussione collettiva sulla situazione palestinese e sui prigionieri politici alla Baracca Occupata di via Marzolo 3 A

info: http://baraccaoccupata.noblogs.org/

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GIOVEDI’ 17 MAGGIO – VERONA

CINEMA ALL’AREA APERTA

(eventuale cadenza settimanale)

Cinema all’aperto in un’area fuori dalla vita mondana della Verona-da-bere e quindi fuori dalle logiche di consumo/profitto da bar o localetto, in cui giovani e meno giovani anestetizzati passano le loro serate in serie.

Per l’autogestione, l’auto-organizzazione e per una socialita’ libera dai tanti vincoli imposti che opprimono e troppo spesso limitano la possibilita’ di esprimersi totalmente e in modo autonomo.

proiezione di: ATTACK THE BLOCK (2012)

Chi difenderebbe Verona se arrivassero gli alieni??

Porta quello che vorresti trovare, cibo, bevande, birra, vino, ecc.

Lascia a casa la frustrazione.

Dalle ore 21:00

Area68 – zona Torricelle

Rispetto – No nazi – No pusher

www.autistici.org/liberaa